Trovo che sia stucchevole meravigliarsi di quanto è stato reso noto sui giornali per il medico del Papa, Sergio Alfieri. Ovvero che è indagato – quindi ancora tutto da accertare – per falso amministrativo poiché risultava in sala operatoria mentre in effetti era in giro per convegni. Ora, andando oltre il caso singolo, che pure può essere replicato un bel po’ di volte in giro per l’Italia, occorre iniziare a dire qualcosa di controcorrente sulla sanità, e in particolare sulla sanità pubblica.
Il medico? Non è un dipendente e non ha obblighi
Occorre dirlo perché altrimenti non saremmo onesti con noi stessi. Un medico di medicina generale prende – in Lombardia – oltre 100mila euro l’anno e spesso se non sempre ha contributi pubblici per il suo studio professionale. Non è un dipendente, non ha obblighi, e quando è stato il momento del Covid in pochi – ed eroi – hanno davvero continuato ad operare malgrado i rischi. Altri, quelli sindacalizzati, si sono spesi invece per chiedere alla Regione cose che i primi tempi non c’erano: mascherine in abbondanza, camici, maschere eccetera. Non rispondevano manco più al telefono. Ma andiamo oltre.
Alfieri e una politica da sempre subordinata ai medici
Il caso di Alfieri è il caso di una politica che è sempre stata subordinata ai medici, anche e soprattutto quelli ospedalieri. Primo dato: a livello di stipendio “base” i medici ospedalieri prendono quanto quelli di famiglia. C’è però qualcosa in più. Perché a metà degli anni 2000 è stata varata la legge dell’intramoenia. Ovvero una legge che permetteva e permette ai medici di operare all’interno delle strutture pubbliche in regime privatistico, purché fuori dall’orario di lavoro e con l’emissione di regolare fattura. Quindi, un dipendente statale quale è un medico che opera in ospedale, può – fuori dall’orario di lavoro – percepire altri soldi in regime privatistico.
L’assurdità della legge dell’intramoenia
Questa cosa ha portato a un sistema estremamente sbilanciato, qualcosa di assurdo. Nel quale ovviamente i medici hanno convenienza a rimanere nel settore pubblico perché quelle strutture sono le migliori non solo per attrezzature ma anche per capacità di attrarre i “clienti”, che poi sono i cittadini malati. Ma anche perché assommano la sicurezza di uno stipendio certo a fine mese con tutti i vantaggi della libera professione. Tutto bello? Sì, per loro. Perché poi si sono moltiplicati negli anni i casi di medici che il lavoro in ospedale per il settore pubblico lo facevano così e così, e poi – gli stessi medici – invece davano se stessi al massimo per il settore privato svolto negli spazi pubblici. Ora qualche genio vorrebbe espandere l’intramoenia anche agli infermieri. Io tremo al solo pensiero.
Non c’è però da essere ipocriti: il sistema attuale lo Stato italiano l’ha voluto fortemente. Perché così da una parte scarica sul privato la responsabilità di erogare servizi. E dall’altra su quei servizi riceve una bella dose di tasse e contributi. Peccato che pagano i cittadini, ma evidentemente pare non interessare a nessuno.