Perché leggere questo articolo? Laurea, anni di servizio, concorsi e poi ancora l’abilitazione. Una follia che esiste solo in Italia. Per diventare professori si spendono 1500 euro senza garanzia del posto.
Ogni uomo ha la sua croce, e ogni professione ha il suo incubo. Quello degli insegnanti si chiama abilitazione. Una dei più diabolici ciottoli con cui è lastricata la strada del precariato nel mondo della scuola. Già, perchè per fare il professore – mestiere, ricordiamolo, tra i più sottopagati – nel nostro Paese non bastano laure, titoli di studio e concorso. Serve anche questa autentica follia italiana che porta il nome di abilitazione. E con esso, un costo non indifferente a cui si accompagna un tripudio barocco di scartoffie e percorsi in continuo cambiamento. Solo capire come fare è un lavoro.
La delirante storia di 25 anni di percorsi di abilitazione
Matteo Fanelli, insegnante precario da anni in lotta con questi mulini a vento, sul Foglio di oggi ricostruisce i 25 anni di percorsi per l’abilitazione che hanno preceduto l’attuale. “La storia dei percorsi abilitanti – esordisce Fanelli – è abbastanza travagliata”. Nel 1990 venne inventata la Ssis, entrata in vigore effettivamente a partire dall’anno accademico 1999-2000. Due anni accademici, che gli aspiranti insegnanti erano dunque costretti a frequentare oltre gli anni di laurea, al costo di 1.500 euro all’anno, più testi e altro materiale. “Si è arrivato a calcolare che un aspirante insegnante poteva spendere fino a 5.000 euro per completare l’abilitazione della Ssis. Che comunque non garantiva un posto nella scuola statale, dal momento che per quello occorreva (e occorre) vincere un concorso pubblico”.
Dopo la Ssis venne il momento del Tirocinio formativo attivo. In quell’anno tra aule universitarie e scuole l’insegnante per abilitarsi arrivava a spendere 2500 euro. Il Tfa ebbe vita breve: dal 2011 al 2015, quando venne sostituito dal percorso triennale di Formazione iniziale e tirocinio. Il Fit avrebbe dovuto essere “l’integrazione tra il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento e un percorso di tirocinio progressivamente retribuito fino all’immissione in ruolo”.
E adesso?
Questa forma di abilitazione rimase sulla carta. Al ministero venne infatti in mente il percorso di 24 cfu nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e metodologie e tecnologie didattiche. Non erano abilitanti, ma anch’essi avevano un costo, perché la maggior parte degli studenti li conseguiva dopo la laurea, e servivano per poter partecipare al concorso pubblico. Venticinque anni di riforme, nessuna definitiva.
Il percorso per l’abilitazione continua a cambiare. L’idea più naturale, quella di prevedere lauree magistrali abilitanti (come avviene già con le scuole elementari), non è mai stai presa in considerazione. Così il governo Draghi prima e quello Meloni poi hanno legiferato sui percorsi di abilitazione. Complicandoli. La legge 79/2022 ha istituito l’ennesimo sistema di formazione, il dpcm del 4 agosto 2023 ha definito i percorsi universitari e accademici per il conseguimento dell’abilitazione. Sono previsti diversi percorsi, da 60 cfu, da 36 cfu o da 30 cfu, a seconda che si siano già conseguiti i famosi 24 cfu o che si abbiano tre anni di insegnamento, e altre fattispecie.
L’abilitazione costa 1500 euro e non garantisce il posto
In questi giorni si vanno definendo i percorsi, con le università che stanno facendo richiesta per accreditarsi. Costo medio: 1500, ma si arriva anche a 2000. Per un percorso a numero chiuso. Se non si rientra nella graduatoria? Nei bandi viene specificato che i soldi versati all’inizio “non sono rimborsabili”, al massimo viene previsto che la persona esclusa possa rientrare in un’altra graduatoria. Avete capito bene. Dopo laurea, specializzazione, anni di insegnamento e iscrizione alle graduatorie, si spendono altri 1500 euro per un’abilitazione che non garantisce il posto. Anche questo percorso di abilitazione non fornisce la garanzia di essere immessi in ruolo.