Perché leggere questo articolo? I redditi degli agricoltori sono in aumento, in alcuni casi anche del 40%. Ma non c’è nulla di male: operano in settore cruciale. E le problematiche non mancano per quelli che sono imprenditori, non lavoratori dipendenti. Ecco perchè gli agricoltori qualche ragione per protestare ce l’hanno.
In Italia e in Europa non li abbiamo visti arrivare, e adesso le proteste degli agricoltori paiono fuori controllo. Evidentemente il malessere di agricoltori e allevatori arriva da lontano. Si basa su un complesso equilibrio, che fa si che il settore primario poggi su una contraddizione che è solo apparente. Vale circa il 2 per cento del Pil e poco più del 3 per cento dell’occupazione, ma senza i suoi prodotti non avremmo il cibo da portare in tavola. E’ la legge del mercato: premia chi si conquista la produzione di prodotti essenziali e sa tutelare i propri interessi. E gli agricoltori dal Dopoguerra non sono più semplici contadini, mezzadri, braccianti o fattori. Sono veri e propri imprenditori. Per quanto si siano arricchiti – complici anche i generosi sostegni europei – qualche ragione per protestare ce l’hanno pure.
Gli agricoltori sono imprenditori
La prima cosa da specificare potrebbe apparire scontata, ma non lo è. Per cominciare, li definiamo “agricoltori” e non “contadini”. Non solo per quella forma di politicamente corretto che ci fa chiamare “operatore ecologico” lo spazzino, ma anche perché la professione di lavorare nei campi non è più quella immortalata dalla cinepresa di Ermanno Olmi in L’albero degli zoccoli. Gli agricoltori al giorno d’oggi sono veri e propri imprenditori, che lavorano in un settore altamente tecnologico. E anche piuttosto remunerativo. Molto del merito è del sudore della loro fronte, ma anche degli incentivi europei che da decenni piovono sugli agricoltori europei.
Senza i sussidi, ha analizzato Il Foglio, in molti venderebbero fattorie e trattori e si trasferirebbero in città (come ha scelto la maggior parte della popolazione: nel 1982 le aziende agricole in Italia erano più di 3 milioni, oggi ne sopravvive un terzo). Fino al 2027 l’Ue ha stanziato oltre 380 miliardi di euro del proprio bilancio settennale per la Pac, da cui dipende circa un terzo del reddito degli imprenditori agricoli. A cui vanno aggiunte le decine di miliardi di sussidi nazionali: il gasolio agricolo detassato e venduto a 1,1 euro al litro, esempio su tutti. Facciamo un gioco: provate a mettere al posto di “agricoltori”, la parola “Fiat” o “Alitalia”. Vi accorgerete di come alla fine gli incentivi agli agricoltori non sono così “a fondo perduto”.
Il guadagno degli imprenditori nei campi
Ma quanto guadagna di preciso un agricoltore? Il calcolo è difficilissimo, un po’ come chiedersi quanto guadagna un imprenditore in Italia – visto che, di fatto, gli agricoltori sono veri e propri imprenditori della terra. A complicare il quadro ci sono due indicatori principali: la tipologia di prodotti venduti e la dimensione dell’azienda agricola. Se si può trovare una qualche indicazione di massima sul reddito degli agricoltori, lato dimensione, quella è il diritto di superficie. I terreni agricoli sono soggetti all’aliquota del 15 per cento. L’imposta di registro sull’acquisto di terreni agricoli è pari al 12% del prezzo del terreno (con un minimo di 1.000 euro) a cui si aggiungono le imposte ipotecarie e catastali per complessivi 100 euro. Un’aliquota bassa rispetto a un privato, ma provate a fare un confronto col regime fiscale è soggetta la categoria (ovviamente una a caso) dei balnerari…
Venendo al guadagno generato agli agricoltori in base al prodotto coltivato, la valutazione è impossibile, data la varietà dei frutti della terra. Un punto di caduta che accomuna tutti i prodotti, però, esiste. E’ la percentuale di ricavo dei produttori: infinitamente minore di quella della logistica. Come evidenzia uno studio dell’Associazione Distribuzione Moderna del 2019 – recentemente ripreso da Today – su 100 euro di spesa, solamente 5 vanno agli agricoltori. Significa che i poco più di 5 euro su 100 restanti vanno poi distribuiti tra l’industria di trasformazione alimentare (43,1 per cento), gli intermediari (19,6), distribuzione (11,8) e ristorazione (7,8). E agli agricoltori che hanno prodotto quel bene alimentare resta un misero 17,7.
Gli agricoltori non sono braccianti (e fanno bene a protestare)
Anche il britannico Economist – incurante della Brexit – ha inviato un corrispondente a seguire le proteste dei trattori a Bruxelles. Persino la rivista per eccellenza dell’intellighenzia progressista di sinistra ha dovuto riconoscere qualche punto di merito della protesta degli agricoltori. Il corrispondente Stanley Pignal, dopo raccolto i pareri di alcuni manifestanti, ha scritto: “La vita degli agricoltori è diventata intollerabile. Ogni sussidio europeo prevede una montagna di moduli da compilare. Per cui va assunta una persona che faccia solo quello. Le norme emanate dalla burocrazia europea li obbligano a lasciare incolta una parte dei propri campi. E prescrivono quanto debba essere lunghi e larghi i pollai, e come smaltire le siepi tagliate. I politici, poi, firmano trattati commerciali che permettono di importare cibo da posti lontanissimi, apparentemente senza preoccuparsi dell’ambiente. E, infine, i costi dell’energia e dei fertilizzanti rimangono altissimi”. Insomma, possono starci antipatici, ma qualche ragione per scendere in strada coi trattori, gli imprenditori agricoli ce l’hanno pure.