Strani sovranisti, quelli che vendono i gioielli di famiglia. Dopo la discussione su Ferrovie dello Stato, di cui sembra che il governo Meloni voglia avviare la parziale privatizzazione, Palazzo Chigi starebbe pensando a mettere sul mercato il Topkapi della collezione pubblica italiana: una parte della quota di controllo sull’Eni.
L’obiettivo di privatizzazione in Eni
Ironia della sorte. Il governo del “Piano Mattei”, intitolato all’uomo che per senso di rivalsa e progettualità più portò l’Italia a sfidare, con la sua Eni, i giganti del petrolio dell’Anglosfera, finirà per mettere sul mercato ulteriori quote della più strategica multinazionale italiana. Si parla del 4%, una quota che oggigiorno varrebbe 2 miliardi di euro e fa gola a molti.
Il Cane a sei zampe è oggi controllato dallo Stato per il 32,4%. Il 4,7% è posseduto direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre il 27,7% è detenuto tramite la “cassaforte” di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). Nei prossimi mesi è previsto un piano di buyback che alzerà del 2% la quota di azioni detenute dal perimetro pubblico. Potrà quindi scattare la vendita del 4% di Eni sul mercato per consolidare la presa in Borsa del gruppo, diventato con Claudio Descalzi un protagonista dei nuovi, rinnovati legami tra Italia e Anglosfera.
Le pressioni internazionali
L’atlantismo di Descalzi, accolto come un re nel 2022 all’Atlantic Council che lo ha premiato per i suoi attenti impegni a rendere la strategia energetica italiana un fattore di rilevanza geopolitica, il ruolo strategico di Eni nel rendere operativo il decoupling dalla Russia e la volontà di Giorgia Meloni di strizzare l’occhio ai mercati finanziari remano nella stessa direzione. Quote di Eni, secondo Bloomberg, andranno sul mercato per plasmare un nuovo ponte tra Italia e investitori internazionali. Anche perché, cosa forse più importante, gli impegni firmati nero su bianco dall’Italia impongono attivi piani di privatizzazione.
Con la manovra 2024 Palazzo Chigi e il Tesoro guidato da Giancarlo Giorgetti si sono impegnati a un piano di privatizzazioni da 20 miliardi di euro. Il triennio di attuazione dovrebbe essere quello 2024-2026. L’obiettivo è ritenuto inderogabile per evitare il boom del debito pubblico, dismettere partecipazioni per l’1% del Pil e reperire risorse per finanziare le misure dell’esecutivo. Dal taglio del cuneo fiscale alla riforma dell’Irpef, si prepara infatti una serie di misure nuove o da rifinanziarie tutt’altro che economiche. E da gestire in condizioni di scarsezza di risorse. Tutto questo col fiato sul collo dell’Unione Europea che tornerà a far pesare profondamente il controllo sul bilancio pubblico di Roma.
Eni e gli altri: è proprio necessario privatizzare?
Commentando a ottobre scorso l’idea di privatizzazioni di Meloni e Giorgetti, su Money.it si scriveva: “l’unico modo perché il Mef possa toccare in tre anni quota 20 miliardi di privatizzazioni è legato alla cessione di quote preziose dei gioielli di famiglia. Eni, Enel, Ferrovie, Leonardo, Poste e via dicendo garantiscono ogni anno allo Stato miliardi di di euro di dividendi, garanzie occupazionali e industriali e stabilità produttiva. Sono gli unici campi in cui lo Stato può racimolare risorse”. I miliardi da ottenere oggi sono poco più di 19, complice la fortunata campagna di messa sul mercato del 25% del Monte dei Paschi di Siena delle scorse settimane. Ma il principio non cambia.
In nome della ricerca di un obiettivo di controllo del debito e di un incasso una tantuum mosse come la privatizzazione dell’Eni e l’ingresso sul mercato di Ferrovie rischiano di pregiudicare, sul lungo periodo, l’accumulazione di dividendi per lo Stato. E di ridurre il perimetro di controllo di Roma sugli asset strategici. Per l’Italia ci sono sicuramente piani potenzialmente più redditizi per fare cassa senza limitarsi alle semplici acrobazie finanziarie e, anzi, valorizzando in termini di mercato il patrimonio pubblico.
Un caso tra tutti? Una seria campagna di liberalizzazione per beni come i lidi, “occupati” dalle concessioni balneari. O lo scardinamento di corporazioni e rendite di sorta che fermano crescita e concorrenza. La logica delle privatizzazioni è stata, già in passato, tentata senza riuscire a conseguire gli incassi previsti e rischia di scatenare una corsa all’alienazione del patrimonio pubblico. Una mossa in totale controtendenza con la retorica “sovranista” di Meloni e dei suoi alleati. E dei trend in corso in buona parte d’Europa e dell’Occidente.