Perché leggere questo articolo? Per Alessandro Aresu geopolitica e economia sono sempre più intrecciate. Il motivo? La sfida Usa-Cina. Un tema che riguarda anche l’Italia.
Alessandro Aresu è convinto: attori privati e pubblici non possono oggigiorno pensare all’industria più innovativa e produttiva senza considerare “le conseguenze globali della sfida Usa-Cina”. L’analista specializzato in politiche industriali e geopolitiche, firma di Limes, dialoga con True-News a Piacenza ai margini della convention “Macchine Connesse” organizzato dal Digital Innovation Hub presso la fiera della città emiliana.
Aresu: “Stanno cambiando le strutture del sistema globalizzato”
Aresu nel suo saggio Il dominio del XXI secolo analizza gli impatti globali di questa sfida partendo da due mercati: i semiconduttori e le batterie per l’auto elettrica e oggi ricorda: “per un manager o un imprenditore temi come la geoeconomia e le grandi questioni internazionali sono sempre più centrali anche nella programmazione quotidiana”. “Stanno cambiando”, dice, “le strutture produttive del sistema globalizzato e si stanno modificando grandi trend come la mobilità.
Tutto questo ha grandi impatti sugli scenari industriali”, soprattutto per economie come quella europea. E se per l’Unione Europea storicamente la grande vulnerabilità è quella verso la Russia, oggi “nell’epoca di produzioni sempre a più alta intensità tecnologica la principale sfida è quella cinese”. Per fare un esempio Pechino “controlla il 60% della produzione di terre rare, contro il 15,5% degli Stati Uniti”, seguiti da Myanmar (9,4%) e Australia (7,9%) nella speciale classifica. E “ancora più alti sono i livelli di controllo in scenari come la raffinazione delle stesse”.
Il Giappone ieri, la Cina oggi
L’Europa e gli Stati Uniti stanno pensando politiche di reshoring per contrastare questo dominio. Ma riportare in patria tutte le produzioni emigrate verso l’Oriente è “impossibile”, secondo Aresu, che traccia un paragone tra l’attuale caso cinese e quello della sfida giapponese agli Stati Uniti degli Anni Settanta. Il Giappone che decollava sulla tecnologia era un Paese “a sovranità limitata, con basi americane sul suo territorio e non poteva insidiare la primazia americana”, specie dopo che Ronald Reagan iniziò a usare gli strumenti commerciali come armi per tarparne l’ascesa.
Il controllo ad esportazioni e investimenti e i dazi sono strumenti che vediamo usati anche oggi contro la Cina, in forma ben più aggressiva e strutturale. Ma ormai, nota Aresu, “c’è un dato di fatto: un riassetto delle catene del valore” che per ragioni economie di scala, intensità di investimenti e trend consolidati “rende impossibile togliere all’Asia orientale il ruolo di epicentro della produzione industriale mondiale”. Un dato di fatto su cui si deve orientare anche l’Europa e, di conseguenza, che riguarda anche l’Italia. La quale come abbiamo visto è meno esposta alla dipendenza dalle catene del valore che portano alla Cina. Ma non è estraniabile al contesto comunitario sullo scenario generale.
Aresu spiega la “nuova civiltà delle macchine”
In quest’ottica è fondamentale sottolineare che “le grandi aggregazioni europee strategiche per il sistema internazionale possono essere quelle protagoniste dei settori innovativi e di frontiera”. Ad esempio “quella tra l’olandese Asml”, campione europeo dei macchinari per i semiconduttori, “il gigante dell’ottica tedesco Zeiss e la connazionale Trumpf”, azienda produttrice di macchinari.
Che prospettive apre questo all’Italia? Aresu sottolinea che la rivoluzione dirompente della tecnologia impone sicuramente una grande attenzione al tema software ma soprattutto “una nuova consapevolezza sull’importanza degli hardware”. Dunque della manifattura. Ed è su questo fronte che per l’Italia si può costituire una finestra di opportunità. In quella che sarà una “nuova civiltà delle macchine” in Occidente e non solo, la manifattura non scompare. E la manifattura è la forza del sistema Paese. Certo, “per manager e imprenditori la sfera della sicurezza nazionale non potrà e non dovrà più essere estranea a ogni riflessione sulle decisioni economiche. E ogni impresa dovrà tenere presente l’esistenza della sfida Usa-Cina e l’ascesa dell’Asia orientale nella progettazione dei suoi investimenti. Ma non è detto che la risposta occidentale a questa situazione non rappresenti un’opportunità per l’Italia.