Perchè leggere questo articolo? Pochi e sempre più cari. Sono gli asili nido italiani, un vero e proprio lusso che grava soprattutto sulle donne, costrette a rinunciare alla carriera per prendersi cura dei propri figli.
Carriera o figli? La fatidica domanda rimane – scomodamente – attuale. Soprattutto adesso che, in Italia, gli asili nido sono sempre meno e costano troppo. Un vero lusso, a spese soprattutto delle donne. Su cui ricade ancora prevalentemente la cura della famiglia. Non a caso infatti, in Italia una madre su due non lavora. E nel 2022 le dimissioni presentate nei primi tre anni di vita del figlio sono aumentate del 17,1%.
Il gender gap sul lavoro aumenta con figli a carico
I dati del nuovo rapporto di Save the Children “Le equilibriste, la maternità in Italia nel 2023” parlano chiaro. Sono più di 44mila i licenziamenti convalidati tra le donne lavoratrici per la difficoltà a tenere insieme carriera e famiglia. Nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, in presenza di un minore il numero delle madri occupate si ferma al 63%, contro il 90,4% dei papà. Con due figli solo un’occupata su due mantiene la professione, mentre i padri lavorano ancora di più (circa il 90,8%).
Il gender gap dunque aumenta in modo preoccupante se ci sono bambini a carico. I contratti delle donne sono sacrificabili anche perché economicamente più svantaggiosi. Il 32% delle lavoratrici ha un contratto part-time, contro il 7% degli uomini. La quota sale al 37% in presenza di prole, a fronte del 5,3% dei padri.
Allarme asili nido: troppo pochi e troppo cari
Con uno o più minori a carico, le donne si trovano quindi costrette a sacrificare la loro carriera. Tra le principali motivazioni di abbandono lavorativo, l’assenza di parenti di supporto, l’elevata incidenza dei costi di babysitter e asilo nido, e la mancanza di posti nei servizi pubblici per l’infanzia. Secondo l’inchiesta di Altro Consumo in 350 strutture in 8 città italiane infatti, gli asili nido mancano e quelli che ci sono sono sempre più cari. Meno di un bambino su tre riesce ad avere un posto assicurato nel pubblico, già di per sé costoso, con una media di 500 euro al mese. Ancor più salate sono le rette dei nidi privati.
La spesa media nazionale per il full time di 10 ore ammonta a 640 euro mensili. Che diventano 800 in città come Milano. Oltre un quinto del reddito di una famiglia. Un lusso difficilmente sostenibile per un servizio così essenziale. Che spesso spinge anche le famiglie che possono permetterselo a preferire l’aiuto di tate, collaboratori domestici e soprattutto dei nonni. Un quarto dei tre milioni di lavoratori in nero presenti in Italia è impiegato nei servizi alle famiglie. Sono 781mila tra colf, badanti e baby sitter, che si aggiungono alla platea dei 961mila lavoratori domestici regolari censiti dall’Inps.
Un welfare da ripensare: mamma Meloni dove sei?
Un servizio per l’infanzia più capillare, con un maggior numero di posti disponibili e costi accettabili rappresenta una risorsa essenziale per evitare che le donne debbano lasciare il lavoro per dedicarsi alla cura dei loro figli. Tassello fondamentale, dunque, che rientra all’interno di un welfare da ripensare, per ridurre la disuguaglianza di genere e l’impatto sulle finanze delle famiglie. I numeri però dicono che c’è davvero ancora molto da fare. Nonostante i 3 miliardi stanziati dal Pnrr proprio per potenziare asili nido e scuole per l’infanzia su tutto il territorio nazionale. Rispetto ai 250mila nuovi posti previsti nei nidi, però, ne sono stati realizzati solo 150mila.
Il governo Meloni li ha dovuti tagliare soprattutto a causa dell’aumento dei costi. Le misure finora messe in campo dall’esecutivo, invece, non sembrano essere abbastanza forti né inclusive. O sono legate all’Isee, come il bonus asili nido per chi ha più figli, o escludono parte delle famiglie, come il bonus mamme destinato solo a chi ha contratto a tempo indeterminato. Una misura che non sarà strutturale. Sarà valido fino alla fine del 2026. Eccezionalmente, solo per il 2024, potranno usufruire dell’agevolazione anche le madri di due figli, di cui almeno uno con un’età inferiore ai 10 anni. Il bonus è accessibile senza limiti di reddito. Sono escluse invece le lavoratrici non dipendenti o con un contratto a tempo determinato, le donne disoccupate, pensionate e le madri di un solo figlio o figlia. Insomma, è pur sempre qualcosa, ma ben lontano dall’essere “la più significativa” tra quelle approvate da Meloni per l’aiuto alle famiglie e alla natalità. “Una donna che mette al mondo almeno due figli ha già offerto un importante contributo alla società. Lo stato cerca di compensare pagando i contributi previdenziali”, aveva detto a la premier in conferenza stampa.
La media Ue resta un miraggio
Pnrr e governo hanno iniziato a stanziare fondi per la copertura di strutture e servizi per l’infanzia. Le soglie prefissata dell’Unione europea per l’offerta di asili nido restano però un miraggio per l’Italia. Mentre l’Europa rilancia e chiede di arrivare ad una copertura del 45% nei nidi entro il 2030, noi non solo non abbiamo ancora raggiunto il 33% previsto per il 2010. Ma anche se ci arrivassimo grazie agli investimenti del Pnrr, ci mancano 32mila educatori che poi di quei bimbi si prendano cura.