“Non sono schiavi”, ammonisce la Procura di Milano, rifilando alle aziende di delivery che “sfruttano” i rider sanzioni per 733 milioni e intimandone l’assunzione. Certo non è una passeggiata l’indagine “fiscale” che hanno condotto i magistrati del capoluogo lombardo sul lavoro dei ciclisti-fattorini, diventati un simbolo dello sfruttamento. D’altra parte i sindacati, capeggiati dalla Filt Cgil, ripetono da tempo che il lavoro dei rider va normato, anche perché il contratto c’è già: è quello della logistica, settore in fortissima espansione (vedi Amazon) proprio grazie alla pandemia. E le consegne a domicilio sono cresciute in sintonia col lockdown e le limitazioni da Covid.
Massimo Bonini, segretario della Cgil milanese, esprime soddisfazione per l’iniziativa della Procura a tutela dei rider: “Una notizia importante frutto della caparbietà anche del sindacato a denunciare le pessime condizioni di lavoro nel delivery”. “Sapevamo già che erano lavoratori trattati da schiavi, avevamo visto i caporali, abbiamo denunciato le condizioni di lavoro fuori ogni logica morale”, spiega.
Ora si parla di una class action dei rider davanti al Tribunale del Lavoro per costringere le aziende ad assumerli. C’è anche chi invita i cittadini allo sciopero bianco: “Basta consegne a domicilio fino a quando i rider non saranno regolarizzati”. Per Assodelivery, l’associazione delle imprese nate attorno a queste app innovative, “l’online food delivery è un’industria che opera nel pieno rispetto delle regole, capace di garantire un servizio essenziale”.
E ancora: ”Oggi i rider che collaborano con le piattaforme di food delivery operano all’interno di un contesto legale e protetto, che assicura ai rider flessibilità e sicurezza. La pandemia ha dimostrato che il food delivery è un vero e proprio servizio essenziale”. Vero, ma i rider continuano (salvo casi rarissimi) a guadagnare una miseria. E l’iniziativa della Procura di Milano ha scoperchiato il pentolone.