Perché questo articolo potrebbe interessarti? A Lecce ha suscitato scalpore l’importante aumento degli emolumenti per il rettore Fabio Pollice, il quale però ha fatto un passo indietro. Per i sindacati è indispensabile salvaguardare chi, all’interno della pubblica amministrazione, soffre per le attuali condizioni economiche: “Il tema è serio – dichiara una fonte della Cisl Funzione Pubblica a TrueNews – non tutti i lavoratori pubblici sono dei privilegiati”.
Da quando il termine spending reviews, dall’era del governo Monti, è entrato nel vocabolario politico gli italiani sono molto attenti agli stipendi di chi opera nella pubblica amministrazione. Il perché è presto detto: se vengono chiesti sacrifici in nome del taglio dei costi, i costi per gli emolumenti dei lavoratori più “privilegiati” devono anch’essi subire la scure del bilancio.
Non sorprende quindi che, quanto accaduto a Lecce nei giorni scorsi, abbia suscitato un clamore di risonanza nazionale. In particolare, il rettore dell’università salentina, Fabio Pollice, ha portato all’attenzione del Cda una proposta sulla ridefinizione delle indennità di carica. Lo stesso rettore sarebbe passato da uno stipendio da 25mila euro all’anno a uno da 121mila euro. Un aumento quindi nell’ordine del 480%. Il pro rettore avrebbe invece percepito 30.250 euro annui, a fronte dei 10.800 euro attuali. Aumenti infine erano previsti anche per i componenti del Cda. Dopo il clamore, è poi arrivata la marcia indietro di Pollice. La questione degli stipendi nella pubblica amministrazione però, a livello generale e nazionale, rimane aperta.
Il caso dell’Università di Lecce
Tutto è nato quando la sezione leccese della Flc Cgil ha apertamente criticato la proposta di delibera da parte del rettore Pollice. La polemica è arrivata a stretto giro di posta ed è montata anche sul fronte mediatico. Tanto da far desistere lo stesso rettore da ogni proposito: “Questi compensi possono apparire eccessivi – ha spiegato Pollice su IlFattoQuotidiano – ma non li ho definiti io, anzi, ho scelto il range più basso”.
Il massimo rappresentante dell’università salentina ha infatti sottolineato come la sua proposta di delibera sia in linea e anzi appaia quasi ispirata da un apposito Dpcm “dove si spiega che è diritto di chi ha delle responsabilità avere un compenso adeguato”. Ma a fronte all’avanzare delle critiche, è arrivato in primis lo stop del Senato accademico. Successivamente, Pollice ha dato indicazione al consiglio di amministrazione di non approvare la delibera.
Si rimarrà quindi con lo status quo. A confermarlo, sempre in un articolo de IlFattoQuotidiano, sono stati i rappresentanti della Flc Cgil: “La scelta di evitare gli aumenti – spiegano – la riteniamo rispettosa del ruolo degli organi accademici, oltreché del personale”. Pollice comunque ha tenuto a precisare di non aver mai preso decisioni contrarie alla legge e ha rilanciato il tema relativo agli stipendi per i dipendenti pubblici: “Confido che quanto accaduto – ha concluso il rettore nella sua ultima intervista – possa portare tutti a riflettere sull’importanza di riconoscere il giusto compenso a chi si assume delle responsabilità pubbliche, perché questo è l’unico modo per rilanciare il settore pubblico e dare slancio al nostro Paese. Ribadisco che tengo all’immagine del nostro Ateneo più di quanto tenga alla mia stessa reputazione”.
“I veri problemi riguardano gli impiegati meno privilegiati”
Ma chi ha ragione tra le due parti? Il sindacato che ha messo in evidenza il vertiginoso aumento degli stipendi previsto nella delibera di Pollice oppure il rettore che, stando alle sue dichiarazioni, pone il problema del rilancio degli emolumenti per chi ha incarichi nel settore pubblico? Abbiamo girato questo quesito a un sindacalista della Cisl Funzione Pubblica: “Personalmente trovo condivisibile quanto rimarcato dalla Cgil a Lecce – dichiara su TrueNews – però il discorso è molto più complesso”.
Secondo la fonte della Cisl, ci sono due ordini di problemi: da un lato gli sprechi, dall’altro le necessità dei lavoratori del comparto pubblico. “Lì dove si assiste a un rapido aumento dello stipendio, come nel caso di Lecce – ha sottolineato – è giusto intervenire. Si dà l’immagine di una pubblica amministrazione sprecona o che vuole mantenere posizioni di privilegio”.
Ma, secondo la fonte della Cisl, non sempre chi è all’interno del comparto pubblico è privilegiato: “E infatti, dalla Cgil si è intervenuti più che altro a difesa del personale dell’università di Lecce – ha dichiarato – far emergere stipendi così alti per alte cariche, quando a causa dell’inflazione molti dipendenti in tutta Italia devono stringere la cinghia, è stato importante per puntare il dito sulle vere criticità”.
In poche parole, il rettore Pollice non avrebbe fatto nulla di vietato ma il suo atto avrebbe più che altro dato l’immagine di una pubblica amministrazione sprecona in un momento in cui, al contrario, il potere d’acquisto di molti impiegati è tartassato dall’inflazione e dagli altri problemi economici.
Il nodo stipendi sempre più centrale
Il caso di Lecce è arrivato peraltro in un momento dove il dibattito sulla pubblica amministrazione è molto acceso. Il caso dei medici e degli infermieri che hanno lasciato gli ospedali pubblici per avere stipendi più alti, il più delle volte dirigendosi verso mete straniere, è senz’altro un risvolto importante della medaglia. E pone la discussione sulla necessità di rendere il lavoro pubblico, almeno nei settori strategici, più “competitivo”.
C’è poi la questione prima evidenziata del caro vita, con il sindaco di Milano Beppe Sala che nei giorni scorsi ha rimarcato come molti uffici nel nord Italia siano spesso a corto di personale per il costo della vita che fa allontanare potenziali impiegati. Da qui la proposta di adeguare gli stipendi in base al tenore di vita di una specifica area del nostro Paese.
Certo è che, tra la cattiva fama di essere poco funzionante, la questione sprechi e le vicende legate agli stipendi, il caso di Lecce ha aperto uno squarcio molto importante sulla pubblica amministrazione. Con l’opinione pubblica divisa tra chi sostiene che i meriti e le responsabilità devono far coincidere con un avanzamento anche in termini di retribuzione e chi, dall’altro lato, pensa che quando si tratta di soldi pubblici occorra immancabilmente una certa diligenza.