Perché leggere questo articolo? Il Bruno Leoni, l’istituto alfiere del libero mercato, si finanzia in larga parte con donazioni private. Ma 30 donatori fanno il 70% dei suoi fondi. E il patrimonio sale.
L’Istituto Bruno Leoni si finanzia trainato dalle donazioni ma non disdegna il 5×1000. Stando al bilancio 2022 del noto think tank liberista italiano si capisce come l’istituto presieduto dall’economista Alberto Mingiardi, che di recente ha festeggiato i vent’anni, sia stato capace di mobilitare risorse messe a bilancio per oltre mezzo milione di euro e nel novero complessivo di gestire fondi per un milione di euro.
Bruno Leoni, 2022 con avanzo da oltre 230mila euro
Il bilancio del Bruno Leoni, che si struttura come fondazione, presenta per lo scorso anno ricavi per 531mila euro rispetto ai 187mila del 2021, e di converso un aumento dei costi diretti da 114mila a poco meno di 192mila euro. La crescita di questi ultimi si accompagna a un aumento degli oneri per servizi da 71mila a 136mila euro. Una crescita dovuta, principalmente, al ritorno dell’attività in presenza del Bruno Leoni, come spiega la nota integrativa. E compensata attivamente dai 52mila euro di 5×1000 ottenuti dal fisco tramite le dichiarazioni dei contribuenti. A cui si aggiungono 2mila euro ottenuti tramite la campagna “Il mio dono Unicredit”.
Il biennio 2021-2022 è stato di grande visibilità per il Bruno Leoni. L’ex premier Mario Draghi ha assoldato, tramite il super-consulente economico Francesco Giavazzi, i suoi associati Carlo Stagnaro e Serena Sileoni nel team di consulenti di Palazzo Chigi sulla politica economica. E tra dibattito sul ritorno dello Stato, Pnrr, Superbonus e temi simili la voce dei liberisti si è tornata a far sentire fortemente, spesso in opposizione agli esecutivi di Draghi e Giorgia Meloni alternatisi a Palazzo Chigi.
Il Bruno Leoni ha chiuso un avanzo di gestione di 238mila euro che ha contribuito a una crescita della patrimonializzazione della Fondazione basata a Torino: il fondo di dotazione dell’ente passa da 441mila a 591mila euro, il patrimonio complessivo da 892mila a 1,130 milioni di euro. Questo anche per aumento della cassa per effetto di entrate che non sono subordinate alla rendicontazione di bilancio.
Chi finanzia la fondazione liberista
I dati sul patrimonio permettono di capire ciò che spiega la fondazione sul suo sito ufficiale a corredo del bilancio. Sottolineando di avere avuto entrate extra oltre ai ricavi. Entrate che, per la precisione, sono state pari a 1 milione e 62mila euro. 54mila fanno riferimento a 5xMille e programma Unicredit. 150mila sono stati raccolti con la cena di finanziamento del Premio Bruno Leoni, andato nel 2022 all’attivista di Hong Kong Jimmy Lai.
Restano, tra ricavi contabilizzati e altre entrate, circa 858mila euro che, scrive il Bruno Leoni, sono per una piccola parte (51 mila euro) frutto di sponsorizzazioni e per il resto “il frutto di donazioni o quote associative”. Il Bruno Leoni è finanziato per il 34% dei 1.062 milioni complessivi da donatori singoli che hanno garantito, individualmente, dai mille euro in su. Le imprese finanziarie pesano per il 12,2%, seguite dalle fondazioni (8,4%), dal comparto manifatturiero (8%), dalle imprese del digitale (6,4%) e dalle utilities e dalla sanità (5,9% a testa) nella quota dei finanziatori.
Il ruolo dei grandi donatori
In quest’ottica, a cavallo tra bilancio e autodichiarazioni, il Bruno Leoni riporta un dato interessante: trenta finanziatori hanno garantito all’Istituto più di 10mila euro, con una donazione media pro capite di 25.460 euro. Il totale fa 763.800 euro: una quota pari al 71% del totale dei fondi per una fondazione che è alfiere del libero mercato, dunque, si concentra su un manipolo ristretto di donatori.
Il Fatto Quotidiano a inizio 2022 ha rivelato il nome di alcuni finanziatori del gruppo. Tra i documenti del Bruno Leoni comparivano donazioni da colossi a guida pubblica e privata. E si evidenziavano “versamenti da parte dell’Eni di Paolo Scaroni, di Exxon Italia, da British American Tobacco, dalla Rai, da Autostrade e da Fastweb”. Di questi finanziamenti “tiene la contabilità Atlas Network, associazione statunitense a cui l’Istituto Bruno Leoni si appoggia sin dalla sua nascita. Una sorta di hub di organizzazioni che raduna circa 500 organizzazioni di tutto il mondo che sposano la causa liberista”. L’ultima fotografia aggiornata sui sostenitori del Bruno Leoni è quella data dal quotidiano guidato da Marco Travaglio ai tempi in cui si raccontava la grande ibridazione tra think tank liberisti e Stato che è una costante del nostro Paese. E su cui i membri del Bruno Leoni non hanno fatto eccezione.