Non meraviglia la risposta di Cassa Depositi e Prestiti a True-News rispetto al contratto d’affitto con Blackstone per la sede di via San Marco a Milano acquisita dal fondo americano durante la partita che li ha portati in casa con Urbano Cairo e Rcs: su questo siamo “come dei privati”, non c’è obbligo di rendere pubblici gli accordi. La stampa di settore ha parlato nel 2017 di quasi 4 milioni di euro l’anno ma la cifra non viene confermata da Cassa. Un peccato. Perché via Goito ha strappato un accordo molto più favorevole di quello contestato dal numero uno del Corriere della Sera e dei suoi avvocati, arrivati a parlare di usura e anatocismo da parte di Blackstone che prima ha acquistato il palazzo di via Solferino, sottovalutato con il consenso del vecchio azionariato RCS, per poi riaffittare al gruppo editoriale.
Sede di via San Marco, il contratto vantaggioso di Cdp con Blackstone
Da quanto apprende True-News da fonti qualificate, Cdp ha firmato invece un contratto per la sede di via San Marco della durata di 6 anni con cifre significativamente al di sotto dei valori di mercato. Motivo? Proprio quello di evitare le polemiche. Il contratto prevede un adeguamento ai canoni di locazione del mercato a partire dal settimo anno in poi. Nella “testa” del braccio finanziario del Tesoro ci si immaginava al momento della firma che nel frattempo si sarebbe ristrutturato un immobile pubblico dove trasferire gli uffici in un asset di proprietà del demanio. Se ciò non dovesse avvenire le alternative sono solo due: pagare dal settimo anno un canone di mercato; spostarsi altrove al primo break al sesto anno, ma senza penale.
Contratto Cdp-Blackstone in via San Marco: nulla di misterioso, sono solo “affari”
Nulla di misterioso, quindi, o da tenere sotto riserbo. Sono affari. E negli affari capita di siglare dei non-disclosure-agreement (Nda), accordi di non divulgazione. Sono utilizzati dagli operatori per non esporsi alle ricerche di mercato specifiche ed evitare di perdere spazio di negoziazione futuro durante le trattative facendo a sapere al mondo intero quanto è lungo il cordone della borsa. Per le società di investimento c’è poi una spiegazione logica nel non voler far trapelare le cifre. Non perché ci sia del “marcio” ma perché magari i valori di mercato non sono così positivi e potrebbero influire negativamente sul Net Asset Value (Nav), lo strumento, lo strumento con cui valutare il rendimento azionario. Un esempio legato al settore immobiliare? Molti operatori aderenti all’Epra (European Public Real Estate Association) gonfiano il Nav con questa modalità. In Austria gli analisti si lamentano di Nav pompatissimi, mentre il mercato di Vienna e Innsbruck controintuitivamente cresce meno. Tutto legale se un operatore “vendi” se stesso e la sua crescita agli azionisi al 5-6% e poi lentamente vengono pubblicati dati e microdati non aggregati che influenza il rendimento, il cosiddetto “selling point” diventa meno credibile.