A quest’ora dovremmo già essere lanciati verso la “Gigabit Society”, il piano europeo per portare la banda larga in ogni angolo dell’Unione. Invece, con le attuali regole, in Italia viene a malapena garantita una connessione 56k: la preistoria di Internet. Non stupirà quindi sapere che il governo ha mancato l’ultima data utile per recepire il nuovo Codice delle comunicazioni europee (pdf), il 21 dicembre scorso. È (o era?) l’ultima occasione che il nostro Paese ha di inserire la banda larga nel proprio servizio universale, rendendo l’accesso a internet un diritto fondamentale, specie ora che la pandemia ha svelato a tutti l’importanza del telelavoro, e quindi di connessioni domestiche affidabili.
È una questione di competitività, innanzitutto. Per questo, parlare di internet come un diritto non è di più una fantasia da nerd o cyber-entusiasti, ma un’ovvia constatazione: a tal proposito il Cncu (Consiglio nazionale consumatori e utenti) ha dato vita a un’iniziativa in collaborazione con altre associazioni, tra cui Agcom (Autorità per le Comunicazioni), per “richiedere al governo la rapida emissione di una normativa nazionale, in linea con il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, che definisca e declini come obbligo di servizio universale la disponibilità di un servizio di accesso adeguato a internet a banda larga nonché servizi di comunicazione vocale, in una postazione fissa garantendo il continuo innalzamento dei minimi di velocità di accesso adeguandoli allo sviluppo tecnologico”. Le richieste? Un minimo di 100 Mb/secondo in download e 20 Mb/secondo in upload, in tutta Italia, da aggiornare nel tempo. Non impossibile, quindi. Ma ce la faremo?