L’Italia sui chip ha le capacità produttive, la base industriale e le competenze tecniche per giocare un ruolo di primo piano su scala europea. Ma è vietato improvvisare. E serve giocare, tra settore pubblico e privato, industria interna e alleanze internazionali, con attenzione questa sfida. Per valorizzare il Paese in materia, evitare di diventare terra di conquista, conquistare quote di mercato e non perdere terreno come accaduto per la “vittima eccellente” del nostro settore tecnologico: Telecom Italia.
I chip e la lezione di Tim
Su Tim la politica in passato ha brigato, assecondato avventurismi, bloccato strategie industriali. Nel settore dei chip, che ha la fortuna di non essere ingessato su un’unica azienda esposta agli umori del mercato, aziende e istituzioni possono e devono cooperare.
In quest’ottica, il governo Meloni ha rafforzato l’orientamento del governo Draghi sui chip. In sostanza la linea è quella di far sì che il mercato decida innovazione, sviluppi e catene del valore e lo Stato accompagni il processo. Finanziando nuovi impianti, aprendo a collaborazioni internazionali, mettendo in campo sostegni alla ricerca.
Urso e Giorgetti lanciano il nuovo centro dei chip
Quest’ultima, in particolare, la scelta dell’esecutivo di Giorgia Meloni. Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia e delle Finanze, e Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, hanno promosso l’inserimento in manovra di un Centro italiano per il design dei circuiti integrati a semiconduttore.
L’obiettivo è strutturare la filiera italiana dei chip finanziando politiche di trasferimento tecnologico e una rete di collaborazioni tra università e centri di ricerca per proteggere l’italianità del know-how. Il centro avrà finanziamenti per 185 milioni di euro fino al 2030 e si inserirà nel quadro delle politiche per il Chips Act europeo. Ma l’obiettivo dovrà essere quello di consolidare i settori operativi non interferendo sulle nicchie produttive generate da mercato e ricerca.
St e Technoprobe, due “gioielli” dei chip
STMicroelectronics è un esempio di realtà ove capitale pubblico e iniziativa privata coesistono in forma virtuosa. La joint venture italo-francese partecipata dal Mef e da Bpifrance, la Cdp di Parigi, è protagonista nel mercato europeo. Dopo l’olandese Asml, col suo sistema produttivo è il secondo gigante d’Europa dei chip. Produce ad Agrate Brianza chip per il settore auto, microprocessori che accumulano potenza per l’Internet delle cose, componentistica per chip complessi. Lo Stato italiano ha messo in campo 292,5 milioni di euro del Pnrr per un nuovo stabilimento di St a Catania, che creerà 700 posti di lavoro.
A fianco di STMicroelectronics cresce come nuovo colosso dei chip Technoprobe, con sede a Cesano Lombardone, presso Lecco. L’azienda ha raccolto nell’ultimo anno, entrando a Piazza Affari, quasi 5 miliardi di euro per finanziare la produzione di schede sonda che permettono di collaudare i chip durante il loro processo di costruzione, prima di inserirli negli apparecchi. Nicchia di altissima specializzazione che rende centrale in quest’ottica il sistema-Paese.
Tra Usa e Cina
Controllare una filiera della catena del valore consentirà al sistema-Paese di aprire con più attenzione a attori stranieri desiderosi di investire nel Paese. Draghi ha avviato, col contributo decisivo dell’ex consigliere di Palazzo Chigi Alessandro Aresu, e Meloni intende consolidare in particolare il progetto di investimento di Intel, gigante Usa dei chip, pronta a mettere in Italia quasi 11 miliardi di euro. 4,5 miliardi saranno, con ogni probabilità, indirizzati per un nuovo impianto di assemblaggio di chip complessi a Vigasio, vicino Verona. Un altro investimento potrebbe essere realizzato in Piemonte: i posti di lavoro potenzialmente creabili saranno 5mila. I chip base prodotti a Agrate Brianza e quelli provenienti dall’Oriente possono essere la base per questi assemblaggi in prodotti più complessi. L’investimento non competerebbe dunque con i distretti nazionali
Porte chiuse, invece, alla Cina: qui emerge il ruolo strategico del golden power per frenare scalate ritenute ostili. Il governo Draghi ha impostato la linea stoppando la scalata cinese alla brianzola Lpe, attiva nella ricerca sui chip di ultima generazione.
Roma ha dunque tutte le potenzialità per competere come potenza dei chip. Ma deve ricordarsi che anche Telecom era, un tempo, player centrale per telefonia, reti tlc e dati salvo poi declinare per l’assenza di un orizzonte industriale. Tale orizzonte non sembra, ad ora, assente sui chip. Ma sarà dal rafforzamento del clima favorevole agli investimenti, dalla tutela della produzione nostrana e dall’avanzamento a livello europeo di una strategia industriale ambiziosa che si misurerà la capacità del Paese nel settore. Destinato a creare innovazione, sviluppo e crescita se gestito correttamente.