L’ultimo report realizzato dall’organizzazione in merito all’impatto del Covid-19 sulle imprese italiane in Cina fotografa la delicata situazione in corso nel cuore del gigante asiatico. Se la politica zero Covid adottata dalle autorità cinesi dovesse continuare, il 75% delle aziende italiane operanti oltre la Muraglia prevede un impatto “molto negativo” sul proprio business. Questo è soltanto un piccolo spaccato di ciò che emerge dall’ultima analisi realizzata proprio dalla CCIC.
Il report della CCIC
Piccola premessa. Il report si intitola “Impact of Covid-19 on Italian Companies in China” e prende in carico due rilevazioni effettuate dalla CCIC tra i suoi membri. La prima è stata effettuata dal 16 al 22 marzo, mentre la seconda nel periodo compreso tra il 15 e il 21 aprile. Entrambi i sondaggi sono stati condotti a livello nazionale – con particolare attenzione alla Delta del fiume Yangtze – e hanno visto rispondere quasi la metà delle 580 aziende italiane associate alla CCIC. Per inciso, stiamo parlando dell’unica associazione di imprenditori e professionisti italiani ufficialmente riconosciuta dallo Stato italiano e dalla Repubblica Popolare Cinese operante in Cina.
Per capire meglio lo scenario, è importante sapere che oltre il 50% delle aziende coinvolte nell’indagine appartiene al settore manifatturiero (il 18,46% macchinari, l’8,85% automotive) quasi il 20% è coinvolta nei servizi e affari, l’8% nel Food and Beverage e il 7% nei beni di consumo, per lo più nell’industria della moda. Altra annotazione preliminare: le micro, piccole e medie imprese rappresentano il 78% del totale degli intervistati totali. Il 22% comprende invece grandi aziende. Il quadro offerto dall’analisi offre un interessante quadro della realtà che sono costrette ad affrontare le aziende italiane in Cina al tempo del Covid.
Situazione invariata
“Il rapporto è uscito a fine aprile. Oggi siamo nella seconda metà di maggio e la situazione non è sostanzialmente cambiata. Il lockdown draconiano di Shanghai continua a essere tale. C’è stato un lieve miglioramento di apertura a livello aziende, però non stiamo parlando di apertura totale. Una percentuale intorno al 25-50% della forza blue collar sta in azienda e non esce, e questo garantisce un lavoro che consente lo smaltimento dei prodotti già finiti e completati. Il resto degli impiegati e del management non ha modo di rientrare in azienda perché non può nemmeno uscire di casa”, ha dichiarato a truenews Paolo Bazzoni, presidente della Camera di Commercio Italiana in Cina (CCIC). “Il mese di maggio, dal punto di vista di output aziendale, potrebbe essere lievemente migliore rispetto ad aprile ma sempre molto inferiore alle previsioni del periodo ’20-’22. La situazione non è quindi sostanzialmente migliorata”, ha aggiunto.
Il Covid e le aziende italiane in Cina
In altre parole, le società italiane operative oltre la Muraglia sono di fronte ad una situazione complicata, che sta avendo un notevole impatto sul loro quadro industriale e produttivo. A differenza del 2020, quando questo impatto è stato tutto sommato marginale, la nuova crisi del 2022 ha avuto effetti indesiderati.
Tra questi segnaliamo la perdita di fatturato e gli elevati rischi associati alla logistica e alla filiera. Ultimo ma non per importanza, evidenziamo infine una conseguente riduzione della penetrazione industriale nel mercato interno della Cina. “Una parte importante delle nostre aziende sta anche rivalutando il posizionamento strategico e gli investimenti nel mercato interno a seguito dell’incertezza generata dalla crisi”, si legge nel report.
Il tema logistico in Cina
Entrando nei dettagli, le recenti restrizioni anti Covid portate avanti dalla Cina hanno gravemente interrotto la filiera commerciale di molte aziende. In ogni caso, oltre alle difficoltà effettive che sussistono per entrare nel Paese, troviamo enormi difficoltà nel trasporto dei materiali. Con conseguenti ritardi e interruzioni nella catena di approvvigionamento, tanto nazionale quanto globale. Il report CCIC evidenzia, poi, come l’86% delle filiere delle aziende italiane abbia completamente interrotto o sia stato gravemente colpito dalla situazione Covid in Cina.
“L’impatto più grande che le nostre aziende hanno avuto a causa di tali misure – ha aggiunto lo stesso Bazzoni – non è soltanto il fatto di non poter produrre, ma di non poter spedire e ricevere. Il tema logistico è quello che sta impattando maggiormente. Serve la manovalanza per produrre e far andare i macchinari. Ma se non è possibile ricevere i materiali dai fornitori e non è possibile spedire ai clienti perché non funzionano i trasporti e la logistica è ferma, a quel punto l’azienda è incapace di generare attività e creare valore”.
Effetti indesiderati
In generale, i tre principali effetti negativi delle politiche di contenimento cinesi sulle aziende italiane oltre la Muraglia possono essere così riassunti. Primo: interruzione della catena di approvvigionamento; secondo: interruzione e riduzione di produzione con difficoltà di pianificazione; terzo: ritardi nella produzione e fatturato in calo. Il problema più grande è che nessuno sa dire quando tutto potrà tornare come prima.
“Le previsioni del governo di Shanghai e del governo centrale sono quelle di avviare una graduale apertura a partire dai primi giorni di giugno, in modo cadenzato. Però dobbiamo verificarlo. Sono arrivate tante comunicazioni del genere, poi qualche modo contraddette. Il dato di fatto rimane che la domanda interna è bassa, le aziende hanno avuto un aprile molto brutto e avranno un maggio un po’ migliore ma inferiore alle attese”, ha concluso Bazzoni. L’incertezza è ancora molto presente, per cui occorre essere flessibili e gestire day by day, pianificando le azioni più adatte a garantire una ripresa sostenibile nel breve termine. La Camera è sempre al fianco delle sue aziende per informare, supportare e interagire con le controparti cinesi mediante azioni di advocay e dialogo sul territorio.
IL REPORT CCIC SULL’IMPATTO DEL COVID SULLE AZIENDE ITALIANE IN CINA