Dai 60 milioni di dollari sborsati dallo Jiangsu per Alex Teixeira ai 66 milioni versati dallo Shanghai Port nello casse dello Zenit San Pietroburgo per Hulk, passando per il record assoluto di 71 milioni di euro messi sul tavolo del Chelsea dalla stessa squadra di Shanghai per accaparrarsi le prestazioni del giovane Oscar. Sembra passato un secolo da quando la Chinese Super League, il massimo campionato cinese di calcio, dava la parvenza di esser diventata la nuova Mecca del pallone. Salari da favola, benefit e bonus di ogni tipo e proprietari pronti a pagare cifre folli pur di mettere le mani su un giocatore: una simile bolla del lusso ha attirato decine e decine di campioni internazionali che, fino a quel momento, erano abituati a calpestare ben altri palcoscenici, molto più affini al “calcio che conta” e lontanissimi anni luce da campionati esotici in fase di ammodernamento.
Cina, un paradiso per calciatori ricoperti d’oro
All’improvviso, dal 2015 in poi, la Cina si era trasformata nel paradiso per qualunque giocatore volesse guadagnare ingaggi pesanti e, perché no?, mettere nel palmarès qualche trofeo esotico. Certo, bisognava abituarsi a un contesto inedito: il campionato cinese al posto di Premier League, Serie A, Liga o Bundesliga; l’Asian Champions League invece della Champions League; il Beijing Fengtai Stadium e il Langfang Stadium a sostituire Anfield Road e il Bernabeu. Ma, se non ti chiami Messi o Cristiano Ronaldo, questi sacrifici sono soltanto un piccolo scotto da pagare, alla luce dei 15 milioni di euro all’anno percepiti da El Shaarawy, dei 13 milioni incassati da Eder, dei 15 di Pellè e dei 23,4 di Oscar.
Molte star hanno accettato di volare oltre la Muraglia, hanno disputato qualche stagione in un Paese immenso – dove una trasferta può distare migliaia di chilometri e il riscontro del pubblico è più ovattato – e poi sono tornate in Europa dopo aver incassato lauti compensi.
La Chinese Super League è un paziente in stato vegetativo
Ebbene, i tempi d’oro del calcio cinese sono evaporati come neve al sole. Oggi la Chinese Super League è, nel migliore dei paragoni fattibili, un paziente in stato vegetativo, che continua a dare lievi segnali di vita grazie a ciò che resta delle ingenti sponsorizzazioni delle grandi aziende statali – proprietarie dei club – o degli enormi conglomerati attivi in settori economici strategici della Repubblica Popolare Cinese. Il ritorno alla realtà è stato piuttosto traumatico, anche perché era stato il presidente cinese in persona, Xi Jinping, a inserire il calcio nel grande sogno di ringiovanimento della nazione cinese. Le aziende statali, con il benestare del governo, avevano aperto i rubinetti per trasformare piccole squadre nazionali in corazzate globali.
Il Covid ha dato il colpo di grazia ad un sistema fragile
Con poco know how a disposizione e ancor meno esperienza, l’unica soluzione sposata da dirigenti pieni di soldi è stata quella di investire su campioni già fatti e finiti, con la speranza di imparare l’arte del pallone e forgiare presto talenti made in China. La macchina calcistica del Dragone è andata avanti per diversi anni, orientativamente dal 2013 alla fine del 2019. La pandemia di Covid-19 è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Alla ripresa dei campionati professionisti, diversi club iniziavano a mostrare segnali di cedimento. Alcuni, come lo Jangsu, squadra controllata da Suning, stesso proprietario dell’Inter, hanno cessato ogni attività.
E pensare che nell’aprile 2020 Evergrande – lo stesso colosso attivo nell’immobiliare cinese ora al centro delle cronache finanziarie per il suo crac e gli effetti da esso derivati – aveva annunciato la costruzione, in quel di Guangzhou, di uno stadio futuristico dotato di 100mila posti dal valore 1,8 miliardi di dollari per l’omonima squadra della megalopoli.
Il faraonico progetto dell’Evergrande Football Stadium
L’Evergrande Football Stadium, stando alle parole del presidente di Evergrande, Xu Jiayin, avrebbe dovuto diventare un punto di riferimento globale al pari della Sydney Opera House e al Burj Khalifa di Dubai. L’impianto è ancora in costruzione e i lavori dovrebbero terminare nel dicembre 2022. Il condizionale è d’obbligo, perché sia lo stadio semilavorato che il terreno sono stati sequestrati dal governo locale e messi all’asta. Colpa del brutto affare in cui è finita Evergrande, in grave difficoltà economica e con debiti di centinaia e centinaia di miliardi di dollari.
Il calcio affonda assieme alle società immobiliari
Che cosa c’entra questa azienda con il calcio cinese? Se il settore immobiliare cinese è nell’occhio del ciclone, anche il football ne subisce le conseguenze. Il motivo è semplice: 11 dei 16 club della Chinese Super League sono supportati o controllati da società immobiliari. Le quali stanno facendo i conti con enormi problemi di liquidazione derivanti dalle politiche più severe attuate dal governo per frenare la speculazione edilizia. Nella lista nera troviamo anche China Fortune Land Development, che fino a qualche settimana fa doveva ristrutturare debiti per circa 42 miliardi di dollari. L’Hebei FC, team di sua proprietà, non ha pagato le bollette dell’elettricità nel suo complesso di allenamento, mentre le squadre giovanili si trovano in congedo prolungato. Il futuro del team è pieno di dubbi, così come quello di altri 11 club.
Un bilancio insoddisfacente anche sul piano sportivo
È complesso trovare soluzioni immediate e di facile attuazione per invertire il trend in cui si è cacciato il calcio cinese. Il pallone era considerato dal governo uno strumento perfetto per dimostrare la forza della nazione e ottenere vantaggi, tanto materiali che immateriali. Il punto è che i businessman della Cina hanno iniziato a “giocare” a qualcosa che non conoscevano né riuscivano a capire fino in fondo. Gli agenti e i campioni provenienti dall’Europa hanno capito e si sono tuffati in questo mare dorato. Risultato: sborsando cifre folli per giocatori spesso modesti, i bilanci dei club si sono appesantiti al punto da diventare insostenibili. In tutto questo, i traguardi raggiunti dal calcio cinese sono stati insoddisfacenti. Facendo un paio di calcoli, la spesa dei club del massimo campionato cinese è quasi 10 volte tanto a quella della K-League sudcoreana e tre della J-League giapponese. Peccato che la Cina, intesa come nazionale, sia molto più indietro rispetto a Corea del Sud e Giappone.