Perchè questo articolo potrebbe interessarti? La Cina riesce a contenere l’inflazione rispetto a quanto accade a livello globale. I prezzi al consumo cinesi sono tuttavia aumentati al ritmo più veloce degli ultimi due anni. A settembre, ad esempio, l’aumento dei prezzi ha raggiunto il 2,8% contro il 2,5% di agosto. Eppure, al contrario di quanto questi tempi portano a pensare, il modello cinese conferma che una bassa inflazione non è affatto un buon segnale. Ecco perché.
In tutta l’Asia l’inflazione continua a galoppare senza sosta. L’aumento dei tassi attuato dalla Fed statunitense ha generato un’onda d’urto che – lo abbiamo spiegato qui nel dettaglio – ha travolto il continente asiatico. Neppure la Cina è rimasta immune a questa tendenza macroeconomica che, nella quotidianità di milioni di cittadini, è coincisa con il progressivo aumento dei prezzi al consumo. Un aumento, tra l’altro, che a settembre ha fatto registrare il ritmo più veloce degli ultimi due anni. Insomma, all’apparenza ci troviamo di fronte ad una situazione da allarme rosso. Sarebbe così quasi in ogni Paese del mondo, ma non nella Cina di Xi Jinping.
Lezioni da apprendere
Nel caso della Cina, l’inflazione bassa può essere il preludio della stagnazione. Lo yuan, la valuta nazionale cinese, è in parte ancorata al dollaro, ma in parte possiede un margine di oscillazione prefissata. Da questo punto di vista le conseguenze dell’inflazione sul lato monetario sono dunque ridotte. Oltre la Muraglia, inoltre, l’inflazione proviene da credito e domanda. Un’inflazione bassa, dunque, significa che il motore della crescita cinese – un mix di investimenti pubblici e credito al consumo – sta rallentando i giri.
Un’inflazione più bassa del previsto, infine, può compromettere la capacità di un debitore di onorare i propri impegni. Ricordiamo che i debiti sono fissati secondo il valore nominale, e che un’alta inflazione va a vantaggio dei debitori. Qualora però questa dovesse scendere a livelli più bassi di quelli previsti nel momento in cui viene contratto il debito, a quel punto gli oneri aumentano. Per i Paesi molto indebitati, Italia compresa, questo è un problema. Nel marzo 2021 in Cina il debito aggregato di famiglie, aziende e settore pubblico superava i 46 mila miliardi di dollari, pari al 287% del PIL. Nell’ottobre 2022 l’Italia ha un debito pubblico pari a 2.766 miliardi di euro.
Nel frattempo, economisti e istituzioni finanziarie hanno tagliato le loro previsioni di crescita per l’economia cinese quest’anno, con pochi che si aspettano che il Prodotto interno lordo si espanda dell’obiettivo ufficiale di “circa il 5%”. Il Fondo monetario internazionale ha abbassato le proiezioni del Pil per il 2022 e il 2023 rispettivamente al 3,2% e al 4,4%, citando i danni causati dai ripetuti blocchi del virus. Vedremo se e come l’inflazione aggraverà la situazione. Per il momento, il suo aumento è l’ultimo dei problemi cinesi.
L’inflazione della Cina
Il rallentamento globale, la politica Zero Covid e l’innalzamento a livello internazionale dei costi delle materie prime e dell’energia hanno effettivamente creato non poche difficoltà alla Cina. La produzione e la spesa dei consumatori cinesi hanno risentito delle turbolenze, tanto che il governo è sceso in campo con ulteriori interventi per tamponare l’emorragia. I dati ufficiali parlano del National Bureau of Statistics parlano chiaro. L’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 2,8% rispetto a un anno fa dopo un aumento del 2,5% ad agosto.
I prezzi di settembre, inoltre, sono aumentati al ritmo più veloce da aprile 2020, con il tasso che si è avvicinato al tetto di inflazione del 3% stabilito dal governo. Più nello specifico, l’aumento dei prezzi al consumo è stato determinato in gran parte da costi alimentari più elevati, compresi i tassi in aumento per la carne di maiale. “I prezzi della carne di maiale sono aumentati dopo che gli allevatori hanno macellato meno maiali in risposta alla riduzione dei margini di profitto”, ha affermato Huang Zichun della società di ricerca Capital Economics.
La particolarità del Dragone
Settembre ha visto un aumento complessivo dell’8,8% dei prezzi dei generi alimentari, in aggiunta ad un aumento del 36% dei tassi di carne di maiale e ad un aumento del 12,1% del costo delle verdure, secondo i dati. Ma l’inflazione core, che esclude la volatilità dei prezzi energetici e alimentari, ha registrato un aumento più contenuto dello 0,6% dopo un tasso dello 0,8% ad agosto. Nel frattempo, anche l’inflazione di fabbrica è rallentata, con il tasso ufficiale in aumento dello 0,9% rispetto a un anno fa rispetto a un aumento del 2,3% ad agosto, un calo in parte dovuto al calo dei prezzi del petrolio. “Con la debolezza interna che frena l’inflazione core e i prezzi alla produzione in calo, le prospettive di inflazione della Cina rimangono favorevoli”, ha affermato Capital Economics in una nota.