Squid Game, la serie tv coreana su un gruppo di persone che rischiano la vita in un mortale gioco di sopravvivenza che mette in palio milioni di euro, è la serie originale prodotta da Netflix più vista di sempre: due terzi degli abbonati ha iniziato a guardarla, circa 150 milioni di utenze.
L’ennesimo successo delle piattaforme in streaming ha aperto un dibattito su come le proposte e i criteri di veicolazione tramite algoritmi e pubblicità influenzino la scelta di prodotti d’intrattenimento, e dunque anche la cultura, i gusti e forse anche l’orientamento politico dei clienti. La tecnologia automatizzata di Netflix, Amazon e Disney+ arriva a sempre più giovani e giovanissimi, suggerendo loro contenuti che hanno risvolti sociali e messaggi politici: la Casa di Carta, House of Cards, The Last Man sono solo alcuni esempi di programmi che hanno influenzato il gusto, l’orientamento e , nel senso più ampio del termine, la cultura di milioni di persone.
La professoressa Sara Zambotti, docente di Teorie e tecniche della comunicazione radio-televisiva all’Università Statale di Milano, e la dottoressa Chiara Guglielmetti, laureanda imminente con una tesi dal titolo “Le rappresentazioni multiculturali in alcune produzioni originali Netflix, Prime Video e Disney Plus”, analizzano l’effetto serie tv sulla visione politica e culturale della “Generazione Z”.
Professoressa Zambotti, anni di televisioni commerciali hanno creato il berlusconismo. Che futuro politico possiamo aspettarci per la generazione che sta crescendo con Netflix?
Da antropologa tendo a pensare che ci sia una circolarità tra mittente, pubblico e destinatari in qualunque forma di comunicazione. Abbiamo ancora il diritto di cambiare canale ma, evidentemente, anche la tv commerciale ha trovato un proprio pubblico di elezione che negli anni si è sentito rappresentato dall’offerta delle tv berlusconiane. Le produzioni Netflix hanno sicuramente il merito di rappresentare la Politica in maniera inedita per la forma televisiva italiana. La serialità, l’approfondimento psicologico dei personaggi, la vita politica raccontata nel quotidiano, ma anche da un punto di vista più “tecnologico”, la fruizione “intima” che si fa delle serie tv dai propri schermi e nella totale libertà consentita dall’on demand – tutti questi aspetti cambiano l’immaginario collettivo della politica. In qualche modo mi pare che lo “umanizzino” avvicinandolo allo spettatore e questo avvicinamento ha molto a che vedere con l’esperienza di fruizione domestica. Da un punto di vista dei contenuti, Netflix ha portato sulla scena italiana i temi dell’attivismo politico internazionale in una forma pop: la giustizia climatica e le battaglie contro il razzismo per citarne alcune che non hanno ancora in Italia una rappresentanza partitica così chiara e definita.
Dottoressa Guglielmini, Dietro l’attenzione alla rappresentazione di minoranze e questione politiche nelle serie tv c’è l’interesse commerciale delle aziende distributrici o la rivendicazione delle nuove generazioni?
Netflix punta senza ombra di dubbio sulla rappresentazione delle minoranze, sia in termini politici che culturali: minoranze etniche e la comunità lgtbqia+. Un tema che si è fatto sentire sempre di più nel corso degli ultimi anni, contribuendo alla realizzazione di film e serie tv impegnate nel portare sullo schermo la realtà di una società multipla e piena di differenze come è quella odierna. La rappresentazione delle minoranze sta alla base della normalizzazione, della comprensione e dell’accettazione dell’altro e delle differenze. Sicuramente da parte delle aziende c’è un interesse commerciale nel cavalcare la cresta dell’onda dei temi sociali più caldi; così come ha fatto Netflix, che nel 2019 ha avviato quaranta produzioni originali sull’onda del #blacklivesmatter. L’azienda ha puntato sempre di più sulle black stories con produzioni come When They See Us, Self Made, Monster e tante altre. Così è stato anche per la rappresentazione della comunità lgtbqia+, grazie a produzioni come Pose o Feel Good.
Questi problemi di accettazione e lotta per l’uguaglianza ci sono sempre stati, ma è solo con la generazione Z che vengono rappresentati sullo schermo in modo così aperto, libero ed esplicito. Non avviene solo sullo schermo, ma anche sui social con post che aderiscono, per esempio, al pride month. Certamente la nuova generazione rivendica un’attenzione alle minoranze anche grazie al contesto socioculturale in cui è cresciuta, quello di un mondo globalizzato e cosmopolita. Rappresentare per normalizzare, questa sembra essere la chiave. Inoltre, il target di pubblico più numeroso per Netflix sono i teenager e di conseguenza l’azienda punta sulla creazione di vicende, tematiche e personaggi in cui questa grande fascia di abbonati possa ritrovarsi, riconoscersi e immedesimarsi.
La politica per anni ha cercato di regolare (spesso senza successo) radio e televisioni. Può fare qualcosa nei confronti delle piattaforme streaming?
La politica ha cercato di regolamentare il servizio pubblico radio-televisivo fin dalla sua nascita: dal regio decreto del 1927 all’entrata in vigore della costituzione nel 1948, dalla riforma della RAI del 1975 alla legge Mammì del 1990. La politica italiana ha cercato di regolamentare i programmi attraverso la missione della famosa triade intrattenere-educare-informare, di limitare gli spazi pubblicitari con la nascita delle televisioni private e di assicurarsi che i diritti televisivi fossero equamente distribuiti. Il nuovo mondo dello streaming non è mai stato incluso nelle leggi italiane, né tantomeno in quelle europee, ma sul finire del 2018 il Parlamento ha dato il via libera definitivo all’aggiornamento delle norme UE sui media audiovisivi. La legislazione rivista si applica alle emittenti radio e TV, ma anche alle piattaforme di video on demand. Prevede: maggiore protezione dei minori dalla violenza, dall’odio, dal terrorismo e dalla pubblicità dannosa; il 30% dei contenuti dei cataloghi on demand dovrà essere europeo; e nuovi limiti sulla pubblicità, che non deve superare il 20% del tempo di trasmissione giornaliera.
La legislazione non prevede tuttavia un sistema di filtri al momento del caricamento di contenuti.
La politica italiana sicuramente non può fare nulla per limitare il caricamento di contenuti, se non vietare scene troppo violente o pornografiche ai minori. Quello delle piattaforme streaming è un “mondo” tutto nuovo, all’insegna della differenziazione di contenuti originali per gli Stati Uniti, l’Italia o la Francia, ma tutte le produzioni proprie vengono rese disponibili sulla piattaforma per tutti i paesi in cui questa esiste.
Le piattaforme streaming diventeranno un media opinion maker, come è stato con radio e tv?
Un media opinion maker è una figura che – per la carica o la funzione che ricopre, per il proprio prestigio o per l’autorità di cui gode – è in grado di influenzare e guidare in modo determinante l’opinione pubblica. Direttamente o indirettamente, le piattaforme streaming sono già un media opinion maker perché: ogni azienda ha una propria politica di base, un proprio orientamento e opera una scelta sia politica, che sociale, che culturale; trasmettono temi e messaggi che vanno a toccare e influenzare il pubblico; hanno un potere social enorme, basti pensare ai follower che vantano su Twitter o Instagram. Prendiamo come esempio Netflix: non esiste un profilo Instagram unico di Netflix ma ne è stato creato uno per ogni paese; NetflixUs conta 28,5 milioni di follower, mentre NetflixItalia 5,8 milioni. Attraverso questi canali, le piattaforme streaming esplicitano la loro posizione in merito a diverse tematiche.
Le serie TV vanno creando una sorta di nuovo immaginario collettivo: durante una conversazione o un’uscita con gli amici non può mancare la domanda “Cosa stai guardando?”. Le aziende lanciano poi delle mode, si pensi al caso Squid Game e ai 111 milioni di utenti in 17 giorni. Non si poteva aprire Instagram senza incorrere in un riferimento alla serie ogni tre post. Se non si ha visto la serie non si capiscono i post e ci sente tagliati fuori dal mondo, e di conseguenza la si guarda! Le piattaforme streaming attraverso contenuti e canali orientano quindi e guidano, costruiscono e plasmano le menti, i pareri, le scelte e gli orientamenti. Il come è chiaro, l’importante è verso quali argomenti.
Professoressa Zambotti, Giandomenico Crapis ha parlato della tv come di un “frigorifero del cervello” che i partiti vivevano come un anestetico alla partecipazione politica. Le piattaforme streaming possono essere i rider della politica che veicolano messaggi politici sulla base delle richieste di un pubblico targettizzato e sempre meno partecipe?
Personalmente non vedo troppa differenza tra l’omologazione di offerta della grande distribuzione alimentare e quella culturale. Il meccanismo dell’offerta personalizzata si è ormai diffuso in tutti i settori di vendita e che si tratti di cibo o serie tv, “l’algoritmo” ci propone prodotti (o esperienze come si dice oggi) in base alle nostre scelte di consumo precedenti. Questo senz’altro genera omologazione ma non mi stupirebbe se l’algoritmo fosse in grado di riconoscere anche le personalità che amano invece prodotti di nicchia e offrisse loro qualcosa in questa direzione. Rispetto alla politica, non mi pare ci sia una crisi di militanza nella cosiddetta Generazione Netflix, anzi, piuttosto cambiano le forme della partecipazione e le cause che aggregano il dissenso. Prospettive globali, aggregazione tramite i social, campagna etiche, civili e ambientali trasversali, nuove organizzazioni, mi pare siano queste le caratteristiche della militanza al tempo di Netflix. Le grandi piattaforme, a loro modo, funzionano secondo queste caratteristiche: sono nate al di fuori dei monopoli radio e tv, hanno diffusione globale e pertanto presentano narrative transnazionali.