L’esclusione di Antonio Gozzi dalla corsa finale per la presidenza di Confindustria nella giornata di ieri ha ridotto al duo costituito da Emanuele Orsini e Edoardo Garrone il parterre di sfidanti che il 21 marzo presenteranno i programmi all’assemblea degli imprenditori italiani e il 4 aprile si contenderanno la guida di Viale dell’Astronomia.
Il caos Confindustria e la bocciatura di Gozzi
Statuto alla mano, la decisione dei “saggi” e le dichiarazioni della campagna di Gozzi andate in scena nella giornata del 14 marzo sembrerebbero confliggere. Nel pomeriggio del 14 marzo il patron di Duferco e presidente di Federacciai comunicava il superamento della soglia del 20% dei voti assembleari necessari per qualificarsi al voto finale. La sera, invece, Gozzi è stato escluso all’unanimità dai tre “saggi”, ovvero dal terzetto comprendente la presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù Mariella Enoc; l’ex presidente di Confindustria Trentino Ilaria Vescovi; l’ex presidente di Confindustria Bergamo e ex vicepresidente di Confindustria nazionale e dell’aeroporto di Bergamo Andrea Moltrasio.
Come hanno deciso i saggi di Confindustria
Enoc, Moltrasio e Vescovi hanno ammesso al voto finale Garrone e Orsini. Delle due l’una: o Gozzi non ha raggiunto il 20% di voti certificati per questioni di forma o limiti temporali o i saggi hanno giudicato delle problematiche nelle firme raggiunte.
Lo statuto, del resto, parla chiaro: la commissione di tre saggi può scegliere se ammettere o meno alcuni candidati al voto finale a prescindere dal loro superamento del 20% ma “devono essere ammessi alla presentazione della propria candidatura”, si noti il “devono” prescrittivo, “coloro che certifichino per iscritto di poter disporre di un consenso pari ad almeno il 20% dei voti rappresentati nell’Assemblea, in regola con il versamento dei contributi associativi”.
Raccontando la partita il Bresciaoggi, che ben conosce il polso del settore dell’acciaio di cui Gozzi è esponente e presidente di categoria (Federacciai), ha spiegato alla base il ruolo del terzetto di saggi nell’esclusione dell’imprenditore di Chiavari con radici proprio nella Leonessa d’Italia. I saggi, si legge, “non devono limitarsi ad accertare le ammissioni di diritto ma hanno più ampi margini di discrezionalità nella valutazione delle candidature, hanno quindi tirato le somme delle loro valutazioni e comunicato il loro verdetto”.
Lo Statuto e le difficoltà interpretative
Lo statuto in effetti è articolato in sezioni che sembrano presentare chiavi differenti di lettura. Da un lato la prescrizione sul 20%, dall’altro però anche un’attestazione del fatto che “alla Commissione di designazione [i saggi, ndr], sono attribuite funzioni proattive di selezione qualitativa delle candidature e di analisi e possibile sintesi delle indicazioni di preferenza, delle valutazioni programmatiche e delle aspettative di rappresentanza espresse nel corso delle consultazioni”. L’idea della selezione qualitativa sembra confliggere, potenzialmente, con la prescrizione sul 20%.
Una ricostruzione che si potrebbe fare è che i saggi abbiano voluto premiare la prassi che vede due candidati giocarsi la poltrona di presidente di fronte al Consiglio Generale perché poi l’Assemblea Nazionale ne possa ratificare il mandato quadriennale. Anche in casi di altre corse a tre, come quella ove spuntò vittorioso Antonino D’Amato nel 2000, la volata finale è sempre stata a due.
Il voto del 4 aprile rischiava di produrre un presidente eletto con una maggioranza relativa e non assoluta del voto del Consiglio generale. E forse anche per non creare l’impressione di un’associazione spaccata i saggi hanno deliberato per il massimo principio di cautela per le dialettiche interne. A che prezzo si vedrà. Quel che è certo è che nelle regole elettorali di Confindustria è doveroso, negli anni a venire, fare chiarezza tra principi opposti. Qui il problema non è entrare Papa e uscire cardinale, ma capire come accedere al Conclave. Per il cui accesso le regole sembrano applicabili, duello dopo duello, con crescente discrezionalità.