Cosco, Maersk, ma non solo: il settore dei container e del trasporto navale è oggi in una fase di acuta espansione in termini di risultati economici e utili che va in controtendenza con quanto accade sul piano materiale, segnato da colli di bottiglia nelle catene del valore e crisi industriali su scala globale. Ribaltatisi in un’ampia dilatazione dei costi dei trasporti marittimi sulle cui rotte viaggia il 90% delle merci scambiate su scala globale.
Container in volo ovunque
I colossi della logistica hanno avuto gioco facile nell’approfittare della contingenza e trasformare un fattore di crisi in vittoria: hanno fatto gradualmente in modo di scaricare sui clienti successivi e sulla filiera il costo crescente dell’imbarco e del trasporto delle merci, acuito dal caro energia, sfruttando una situazione che vede attiva una competizione sostanzialmente chiusa tra pochi, ben definiti attori.
Secondo un recente report di Federspedi, l’82,5% del commercio mondiale via nave è mediato dalle tre alleanze dei container: 2M (composta da Maersk e Msc), Ocean Alliance (China Cosco Shipping, Evergreen Line, Cma Cgm e Oocl) e The Alliance (Nyk Line, Mol, “K” Line, Hapag-Lloyd e Yang Ming Line). Le undici compagnie in questione controllano inoltre il 51,6% delle navi. Il 2022 sta confermando la tendenza di crescita degli utili finali già manifestata nel 2021 e sostenuta dall’alto livello dei noli, che hanno ripreso ad aumentare in concomitanza con l’aumento delle materie prime energetiche.
Maersk, numeri da record
I bilanci degli ultimi diciotto mesi lo testimoniano. Per dinamismo, Maersk indubbiamente svetta su scala globale. Il gruppo armatoriale danese macina da oltre un anno record su record. A febbraio ha presentato i dati relativi al 2021, che facevano registrare un conto economico stellare: i ricavi sono ammontati a 61,8 miliardi di dollari, con un rialzo del +55,5% sul 2020, condizionato chiaramente dalla pandemia; il dato che fa riferimento all’utile ante imposte (Ebitda) è stato pari a 24 miliardi (+192,2%) e il risparmio fiscale conseguito per le agevolazioni economiche generalizzate all’attività in ripresa dopo la pandemia ha portato a aumenti ancora più grandi in termini relativi sia dell’utile operativo, cresciuto del 370% a 19,7 miliardi, che dell’utile netto, giunto a 18 miliardi di dollari (+466,4%). Maersk in sostanza ha trasformato in utile netto il 29,12% del suo fatturato.
Shipping Italy ha commentato questi dati sottolineando che “lo scorso anno la sola divisione Ocean del gruppo danese, costituita dalla compagnia di navigazione di bandiera Maersk Line e dalle compagnie Sealand, Hamburg Süd e Aliança, ha registrato valori di bilancio record a partire dai ricavi che si sono attestati a 48,2 miliardi di dollari (+65,3%), di cui 42,4 miliardi generati dalle attività di trasporto marittimo (+70%)”. Più contenuto, invece, “l’incremento dei costi operativi che hanno totalizzato 26,8 miliardi di dollari (+16,9%), di cui 9,8 miliardi di costi per movimentazione dei container (+15,4%), 5,4 miliardi di costi dei combustibili (+40%), 7,2 miliardi di costi di gestione del network di servizi (+8,5%), 2,8 miliardi di costi amministrativi e gestionali (+3,6%) e 1,6 miliardi di altre spese (+30,1%)”. Dunque per effetto-trascinamento l’aumento dei ricavi sulle spedizioni a lungo termine ha contribuito a assorbire un contesto che vedeva dilatarsi anche gli stessi costi, permettendo a Maersk di passare oltre grazie allo sfruttamento della sua rendita di posizione nella catena del valore. L’aumento dei ricavi si scontra, in un certo senso, con la molto minore crescita dei volumi trasportati, saliti del solo 3,6% a 26,2 milioni di container da un Teu (pari a circa 38 metri cubi). Per ogni container è risultato che, mediamente, Maersk abbia incassato 2.102 dollari: il 6,5% in più rispetto al 2021.
Questi dati sono stati trainati dalla crescita dei due trimestri conclusivi del 2021. Ebbene, sia il primo che il secondo del 2022 hanno polverizzato i risultati da record sino ad allora conseguiti. In un aggiornamento pubblicato ad aprile, il colosso armatoriale ha spiegato che il primo trimestre ha superato le aspettative, con un Ebitda di 9,2 miliardi di dollari e un fatturato di 19,3 miliardi di dollari. In prospettiva, risulta possibile un Ebitda superiore ai 30 miliardi di dollari e un fatturato vicino agli 80 per l’anno in corso. “Il forte risultato è guidato dal perdurare dell’eccezionale situazione di mercato che ha portato a un calo del 7% dei volumi e a un aumento medio del 71% dei noli rispetto al primo trimestre del 2021. Per Deutsche Bank i dati sul secondo trimestre, ancora non definitivi, potrebbero vedere Maersk salire a un Ebitda di 10,1 miliardi, sfondando i 20 di fatturato. Tutto questo in un quadro di calo dei container trasportati su scala globale che agisce come volano per le compagnie che ribaltano sui consumatori i costi finali.
In volo Cosco, la regina dei container
A essere scaricate sono state, in particolar modo, le spese di gestione dei noli rimasti bloccati sui moli marittimi. “Il fatto che i prodotti abbiano iniziato a circolare più lentamente ha fatto lievitare del 500% i costi di affitto dei container (che devono essere affittati per più tempo)”, ha scritto GeoPop, “e ha rallentato i processi di consegna. Inoltre, a causa della crisi economica più generale scatenata dalla pandemia e delle norme anticontagio, le compagnie hanno ridotto il numero di lavoratori attivi presso i porti commerciali, che ha ulteriormente rallentato il processo di stoccaggio e di spedizione della merce”.
Tutto questo si riverbera in una dilatazione dei costi delle tratte, tanto più ampia quanto più le crociere si allungano: “il costo della tratta Shangai-Genova è passato 1680 a 2740 dollari, mentre far arrivare un container da Rotterdam alla Cina costa più di 10.000 dollari. Ma l’aumento più forte lo si incontra nella tratta Los Angeles-Shangai: prima della pandemia, il prezzo di trasporto era di 2500 dollari, mentre ora supera i 15-000$, con effetti devastanti” per i produttori di merci. Meno per colossi come Cosco, il campione cinese dei container oggi impegnata, a sua volta, a contare le entrate della fase attuale.
Nell’anno finanziario 2021 i ricavi sono stati pari a 333,7 miliardi di yuan (52,5 miliardi di dollari). Questo è stato trainato da un deciso aumento del 94,8% per cento rispetto all’esercizio precedente, di cui 51,59 miliardi di dollari generati dal business dello shipping containerizzato del gruppo (+ 97,5%).
Relativamente ai ricavi generati dai servizi di spedizione containerizzati sulle principali rotte mondiali, nel 2021 i ricavi dei servizi transpacificati si sono attestati a 13,47 miliardi di dollari (+ 75,8%), quelli dei servizi Asia-Europa a 14,72 miliardi (+ 171,0%), ricavi dei servizi intraasiatici e con l’Australia a 11,5 miliardi di dollari (+ 78,5%), i ricavi degli altri servizi marittimi internazionali a 7,3 miliardi (+ 106,9%) e i ricavi dei servizi domestici cinesi a 2,06 miliardi di dollari (+ 7,5%).
Nel 2021 l’utile operativo del gruppo è letteralmente decollato, con un record di 20,19 miliardi di euro (+ 723,8%), e la controllata Cosco Shipping ha archiviato l’ultimo esercizio annuale con un utile netto record di 16,33 miliardi di dollari (+ 687,5%), con un contributo di 107,0 miliardi dal business dello shipping container (+ 790,6%) e 2,6 miliardi dalla terminalistica degli asset (+ 1,6%).
Anche per Cosco il business dei container in crisi di identità sta diventando un territorio di conqusita nel 2022. Di recente la compagnia ha pubblicato i previsionali sui risultati del primo semestre, notando una crescita dell’utile anno su anno pari 74% (9,7 miliardi di dollari). E dato che tradizionalmente Cosco aumenta nel corso dell’anno il suo business, per la sua natura di attore capace di promuovere su scala globale i commerci cinesi, il trend di crescita potrebbe portare il risultato finale ampiamente oltre i 30 miliardi di dollari.
Freight Wawes nota che i dati della controllata di Hong Kong di Cosco, OOCL, aiutano a capire apertamente dove si fanno i margini magiori. il fatturato medio mondiale per Teu del gruppo è salito del 61,5% su base annua a 2.874 dollari a container nel secondo trimestre del 2022. Il mercato transpacifico è stato di gran lunga il principale motore. Le entrate per TEU nell’area transpacifica sono aumentate del 97,6% su base annua a 4.365 dollari. Il carico di OOCL in altri traffici (Asia-Europa, transatlantico, intra-asiatico) ha registrato una media di soli 2.355 di entrate per Teu, il 46% al di sotto della media transpacifica. Segno di un’altra capacità di un settore price-maker come quello dei container: la capacità di giocare velocemente su più tavoli imponendo prezzi differenziati.
La sensazione è quella di un mercato in cui i colossi dello shipping si stanno comportando come i grandi monopolisti energetici, della telefonia o di altri servizi gestiti, evitando di subire qualsiasi possibile rincaro senza aver prima adeguato i costi dei loro servizi. Questo alimenta i loro bilanci e i loro utili, in una dinamica capace di travolgere il mercato mondiale qualora il meccanismo si inceppasse. Il rischio di una riduzione della produzione industriale globale per il caro-energia, la possibilità di nuovi lockdown e dinamiche legate all’inflazione possono generare uno shock di offerta capace di riverberarsi anche sui colossi dei container. Che prima di continuare a mungere la vacca grassa della ripresa dei commerci devono ricordarsi che questi tempi non dureranno per sempre.