Giuseppe Conte ha un obiettivo: Mario Draghi non deve arrivare a gestire il round di nomine della prossima primavera, quando il suo governo si troverà, nel periodo post-elettorale, a dover gestire i rinnovi dei consigli di amministrazione di Enel, Eni, Leonardo, Poste Italiane e Terna. La pace armata del 6 luglio dopo l’incontro di Palazzo Chigi non deve ingannare: c’è da aspettarsi che con l’estate aumenterà la pressione del leader della compagine pentastellata per alzare la posta e forzare la fine anticipata della legislatura. Garanzia di sopravvivenza per “Giuseppi”.
La sfida delle nomine tra Draghi e Conte
Il round più succulento della partita delle partecipate dovrà essere, nell’ottica del premier attuale, la consacrazione dell suo “partito” personale negli apparati-chiave dello Stato. E la gestione, nel 2023, delle nomine per un terzo anno consecutivo da uomo solo al comando può spingere Draghi a consolidare le sue ambizioni di una permanenza a Palazzo Chigi.
I bene informati ne sono certi: con l’uscita di Domenico Arcuri da Invitalia e la sua sostituzione con Bernardo Mattarella e con i rinnovi pressoché autonomi dei consigli di Snam e Italgas nei mesi scorsi Draghi sta proseguendo lo smantellamento del “partito” istituzionale di Conte e dei suoi legami profondi con altri gruppi di potere come quello che fa riferimento a Massimo D’Alema. Il partito del consociativismo romano sull’asse Conte-D’Alema arretra da quasi due anni: in Cassa Depositi e Prestiti, Draghi ha chiamato Dario Scannapieco al posto dell’ad uscente Fabrizio Palermo; il prefetto Gennaro Vecchione è stato sostituito con Elisabetta Belloni alla guida dei servizi segreti; Arcuri ha perso in un anno sia la carica di Commissario Straordinario all’Emergenza Covid che la poltrona di Invitalia; Sace è passata da Cdp al Mef con un totale rinnovo delle cariche; nei ministeri-chiave, Draghi ha fatto piazza pulita di buona parte del gruppo, facente riferimento soprattutto al Partito Democratico, di uomini politici favorevoli all’ipotesi di coalizione larga attorno a Conte visto come punto di riferimento dei progressisti. Da ultimo, la scissione di Luigi Di Maio dal Movimento di Conte è vista da molti osservatori vicini ai dossier come provocata in nomine Draghi.
Secondo quanto risulta a True News, Draghi presenterà nei prossimi mesi uno schema d’azione che sarà affidato, una volta di più, al fedelissimo Francesco Giavazzi, stratega di Palazzo Chigi sulle nomine. E nel mirino saranno, soprattutto, i presidenti scelti nel 2020 da Conte per le aziende che videro, causa pandemia, una proroga per amministratori delegati ritenuti trasversalmente adatti al compito.
Ora, però, il caleidoscopio politico e il borsino delle nomine si è fatto più complesso. Ci sono in ballo aziende sistemiche che sono interessanti sia per le reti di potere che portano con loro sia per il loro presidio di mercati cruciali, energia e difesa in testa, per il posizionamento internazionale del Paese. Conte sa che cedere totalmente a Draghi significa, in sostanza, abdicare a ogni possibilità. Draghi e Giavazzi, raccontano fonti vicine al dossier nomine, “vogliono promuovere persone vicine alla mentalità di mercato e scardinare le logiche delle rendite di posizione proprie di molte amministrazioni di società a partecipazione pubblica”. E a ciò si somma l’esplicita volontà di fare definitiva piazza pulita delle figure più vicine a Conte e ai suoi protettori, D’Alema in testa, per eroderne gli appoggi istituzionali.
I manager nel mirino di Draghi
Sono tre le figure indicate, in particolar modo, come uscenti: Lucia Calvosa, presidente dell’Eni promossa dal cda della società editrice de Il Fatto Quotidiano ai vertici del Cane a sei zampe e il ticket Michele Crisostomo-Francesco Starace, presidente e ad di Enel. Calvosa e Crisostomo, in particolare, sono ritenuti i manager delle società pubbliche più vicine a Conte e rappresentanti dell’establishment vicino ai Cinque Stelle; Starace paga, secondo molti, una presunta ambivalenza verso la Russia nei mesi precedenti la guerra ed è ritenuto, tra gli ad, il più vicino all’ex premier, a cui Conte ha chiesto in passato una mano per risolvere il dossier Tim-Open Fiber e che con il capo dei Cinque Stelle ha avuto un rapporto sistemico. Sono invece blindati, in quest’ottica, i leader aziendali più osteggiati dai Cinque Stelle: Claudio Descalzi, ad di Eni e Alessandro Profumo, suo omologo in Leonardo, più volte attaccati dai pentastellati e dai loro house organ soprattutto per le questioni giudiziarie che li hanno coinvolti.
Draghi dà l’assalto alle nomine decisive contando in un possibile prolungamento dei tempi di formazione delle nuove istituzioni dopo il voto del 2023, Conte vuole, una volta che sarà scattato a settembre il termine minimo per le pensioni della XVIII Legislatura, cercare la scusa per uno strappo che aiuti i Cinque Stelle a tenere botta alle urne e, soprattutto, il potere a essere in parte preservato dalla caccia di Draghi e Giavazzi ai suoi fedelissimi. Ultima trincea su cui si combatte una guerra di palazzo in cui i grandi assenti sono, una volta di più, i partiti tradizionali. Spettatori e non più parti attive di una guerra tra fazioni nel cuore dello Stato.