Scarsa produttività, costi aggiuntivi e isolamento sociale: sarebbero queste le principali conseguenze del south working. Del fenomeno si è parlato molto l’anno scorso, dopo il primo lockdown nazionale, quando migliaia di persone lasciarono il nord per tornare ai loro paesi natali, perlopiù nel Meridione.
Il quadro era idilliaco. Giovani professionisti che tornano o si trasferiscono nei famosi borghi d’Italia, spesso in corso di svuotamento, risollevando l’economia di intere regioni. Un trend che sarebbe anche appoggiato dal governo Draghi, che punta moltissimo sugli investimenti per il Mezzogiorno. Secondo il premier, infatti, è necessario “far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e centro-nord che è fermo da decenni”.
Il southworking, quindi, rimarrebbe nelle mappe del lavoro futuro. C’è chi però non è convinto di questa prospettiva, né delle possibilità offerte da questa forma di contro-migrazione. Lo sostiene Rossella Cappetta, docente di Management e Tecnologia all’Università Bocconi di Milano, secondo cui “questo paradigma si tradurrebbe in una sconfitta politica. Dimostrerebbe che al Sud non è possibile investire e fare impresa, trasformando questa parte del Paese in un dormitorio del Nord”. La docente, in un’intervista con Business Insider, ha spiegato come “questa forma di flessibilità può essere sostenibile adesso, in piena pandemia, ma non è ipotizzabile nel futuro”. Insomma, non è possibile amministrare a distanza il cento per cento del lavoro.
Ai lavoratori autonomi, invece, questa condizione potrebbe giovare: i consulenti esterni, ad esempio, o i freelance che possono spostarsi e provare un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata. I dipendenti in lontananza, invece, rischiano di perdere occasioni di promozione, carriera e aumenti di stipendio: sarebbero isolati. Senza contare che rimarrebbe aperta la questione economica: i lavoratori in southworking devono essere pagati quanto quelli in presenza? Non sarebbe giusto.
Cappetta racconta come negli Stati Uniti le cose non siano così: molti lavoratori della Silicon Valley si sono trasferiti negli stati più a sud ma per questo prendono meno soldi. Una cosa del genere non è prevista dalla legge italiana. Il southworking si conferma quindi una misura emergenziale come tante altre che abbiamo vissuto (e viviamo) in questo periodo. Per resistere nel futuro, quindi, dovrà essere inquadrato con delle norme precise. Cambiamenti che rischiano però di stravolgere il lavoro italiano. Saremo pronti o torneremo tutti al Nord?