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La corsa di Eni alla fusione nucleare coi fondi Usa

ENI SEDE

Perché leggere questo articolo? Eni è protagonista della partita della fusione nucleare con la sua partecipata americana Cfs. Vediamo come col nucleare di frontiera l’asse Italia-Usa può consolidarsi col Cane a sei zampe.

Si chiama Commonwealth Fusion Systems (Cfs) ed è la start-up sulla fusione nucleare in cui il colosso energetico italiano, l’Eni, ha investito già dal 2018. Presto sarà tra le prime beneficiarie dei fondi dell’amministrazione Biden per lo sviluppo di una tecnologia critica su cui Washington, a dicembre, ha annunciato di aver compiuto il primo passo col guadagno netto di energia nei laboratori federali di Livermore, California.

Che cos’é Cfs, partecipata di Eni

Nata come spin-off del Massachusetts Institute of Technology (Mit) nel 2018, Cfs è stata sostenuta da Eni fin dalla sua nascita. Il Cane a sei zampe, sempre alla ricerca di diversificazioni nel settore energetico, ha puntato fin dall’inizo sulla sfida della fusione coinvolgendo poi, tra il 2021 e il 2022, un’ampia platea di azionisti, da Google a Bill Gates, per un aumento di capitale da 1,8 miliardi di dollari.

Il Dipartimento dell’Energia di Washington ha indicato in Cfs una delle otto aziende a cui conferirà un fondo da 46 milioni di dollari destinato alla ricerca di base di nuovi guadagni netti d’energia nel mondo imprenditoriale americano. L’obiettivo è chiaro. Aumentare il divario tra Washington e i concorrenti diretti, Russia e Cina in testa, nel controllo delle implicazioni economiche, industriali e militari della fusione. La cui entrata definitiva in scena, per cui potrebbero volerci decenni, potrà creare un nuovo standard nella ricerca di energia pulita. E dare enormi vantaggi a chi per primo la realizzerà.

L’imponente finanziamento Usa

Il finanziamento è il primo step del fondo Milestone-Based Fusion Development Program da 416 milioni di dollari che mira alla costruzione di reattori sperimentali negli Usa per ampliare le ricerche di Livermore. Il Chips and Science Act di Biden potrà fornire ulteriore profondità a tali investimenti.

Cfs, di cui Eni resta l’investitore strategico principale con quote non ancora comunicate pubblicamente, vuole giocare d’anticipo mettendo in campo un reattore sperimentale entro il 2025. Questo quanto stabilito a marzo nell’occasione della firma di un memorandum l’ad di Eni Claudio Descalzi e il Ceo della Commonwealth Bob Mumgaard, avvenuta a Cambridge, vicino Boston.

Rispetto alla National Ignition Facility di Livermore, dove è stato ottenuto il primo guadagno netto, Cfs vuole lavorare usando la fusione a confinamento magnetico sfruttando la creazione di vuoti tramite appositi campi per dare spazio agli isotopi di incontrarsi e poter creare guadagni netti d’energia.

Il ritorno di Eni sul nucleare

Eni era già stata, negli Anni Cinquanta e Sessanta, pioniera in Italia del nucleare tradizionale. Pensato dallo stesso Enrico Mattei come perno per la sovranità energetica assieme alla conquista di fonti sicure di idrocarburi. Oggi, l’Eni targata Claudio Descalzi punta su una tecnologia di frontiera nel quadro della partita per la transizione energetica che vede il Cane a sei zampe sempre più presente.

In attesa che con la nuova gestione del duo Scaroni-Cattaneo anche Enel cambi rotta e torni protagonista della rinascita nucleare italiana che si progetta, Eni sta già diversificando molto. Avviata Cfs, al Mit prosegue la collaborazione con il Plasma Science and Fusion Center. E non finisce qui. Eni ha attivato anche collaborazioni con l’Enea di Frascati e il centro del Cnr “Ettore Majorana” di Gela per portare in Italia gli investimenti sulla fusione nucleare.

L’asse Italia-Usa è sempre più forte

Quattro progetti, dunque, di cui uno già scalato a livello d’impresa per un obiettivo fondamentale. A cui si aggiunge un dividendo geopolitico non indifferente.

L’asse tecnologico Italia-Usa può seguire quello energetico plasmato da Descalzi. Capace di fare del top manager confermato da Giorgia Meloni per un quarto mandato un “pontiere” della cooperazione Italia-Usa. Già plasmata a livello industriale dalle attività di colossi come Leonardo nell’aerospazio e nel programma lunare Artemis; dal protagonismo di Fincantieri al servizio della United States Navy; dalle attività di WeBuild sulle infrastrutture americane. C’è un’Italia strategica su cui Washington punta. E che rappresenta un asse fondamentale per la crescita della rilevanza globale del Paese. Nei settori tradizionali e in quelli di frontiera.