“Chi ha la chiave di una soluzione pragmatica è la Banca Europea degli Investimenti“. La Bei è il gigante nascosto d’Europa protagonista negli investimenti in conto capitale decisivi per la transizione energetica. Fonti europee che True News ha potuto consultare, vicine ai dossier economico-strategici più importanti di questa fase, commentano lo “strabismo” di una politica comunitaria che a molti livelli “non sa decidere tra pragmatismo e utopismo“.
La vera posta in palio sulla transizione
La battaglia interna ai corridoi di Bruxelles, lo abbiamo raccontato, si era aperta con il voto sull’auto elettrica del 13 giugno scorso. La scelta di approvare la Tassonomia Green in forma più pragmatica, ci dicono le nostre fonti alla Commissione, “corregge in parte il tiro”. Ma “rischia di crearsi un’asimmetria” tra politiche che “non si conciliano”.
Da qui il riferimento alla Bei. L’istituto basato in Lussemburgo è “molto attento nel suo approccio verso la transizione”, in cui crede. Ragion per cui “certamente non si può dire che ci sia un pregiudizio contro le auto elettriche”. Ma c’è anche “grande consapevolezza sulle partite industriali e infrastrutturali legate alla transizione”. Tra questi si citano da un lato “l’approvvigionamento energetico (batterie e accumulatori) e le filiere industriali ad esso legate” e dall’altro “il problema infrastrutturale”.
“L’adeguamento della “rete elettrica alle infrastrutture di ricarica per la trasmissione e la distribuzione sarà una sfida chiave da vincere”. Per la quale in Ue manca ad esso tanto la visione quanto la volontà programmatica. La Bei, in quest’ottica, è “l’istituzione chiave per programmare azioni di lungo respiro”. Nel luglio 2019 il Financial Times sottolineava come la Bei avesse stralciato come inesigibili e, dunque, giunti a finanziare progetti non andati a buon fine prestiti per soli 300 milioni di euro a fronte dei 1.390 miliardi complessivamente erogati negli ultimi sessant’anni (lo 0,02%), segno di una capacità programmatica che si è spesso concentrata sul capitale fisso e produttivo e le reti energetiche.
La transizione europea tra Scilla e Cariddi
In Europa c’è poi la consapevolezza che a Lussemburgo sia presente una chiara visione industriale in campo energetica: “la partita della produzione di elettricità green, su cui Bei si sta spingendo molto”, si unisce allo sviluppo del vero abilitatore, “l’idrogeno, ma il cui quadro regolatorio non consente ancora di scalare oltre a un uso di piccolo cabotaggio”.
L’Europa si trova tra la Scilla di una transizione accelerata e “autoimposta” al 2035 per l’elettrico e la Cariddi della difficoltà di programmare visioni di medio-lungo periodo che tengano dentro tutto. La necessità di “potenziare reti e infrastrutture; una politica chiara di approvvigionamento dei fattori abilitanti cruciali che”, per quanto dì conoscenza delle nostre fonti “sono fuori dal controllo diretto dell’Ue” senza che ci siano strategie per colmare il gap nel breve periodo (parliamo di “elettrolizzatori, piattaforme di assemblaggio di batterie, chip per gestire le batterie”, ovvero quella filiera che parlando con True News il manager Andrea Taschini dava destinata al controllo cinese).
Come se ne esce? Il coinvolgimento della Bei in un piano di transizione energetica strutturata è, per le nostre fonti a Bruxelles, vitale. Specie per far “coesistere agende che difficilmente si possono incastrare tra loro”.
L’agenda da qui al 2035
Per il 2035 sarà necessario: “far avanzare economie di scala tanto nelle reti elettriche di nuova generazione quanto sul fronte dell’idrogeno” che potrà fornire, specie sul fronte dell’idrogeno verde, la base per “gli accumulatori e le tecnologie di ultima generazione solo a patto di promuovere un piano strutturato”; promuovere “una filiera tecnologica di ultima generazione” che non può coincidere necessariamente con quella dell’auto elettrica tradizionale ma può sovrapporsi, ad esempio, “con i veicoli a guida autonoma” e con tecnologie proprietarie europee “in tutta la filiera, dalla cybersicurezza alla gestione e monitoraggio delle reti” dato che “nell’era digitale essere il modello da imitare vale ancor più che nel passato” e inseguire Paesi come la Cina senza un’adeguata comprensione del rischio di una corsa verso il basso della qualità può essere controproducente.
Investimenti strategici della Bei e programmazioni concrete possono aiutare. Dato che “questo riposizionamento dell’Europa nella catena del valore globale sarà tanto più rapida – e sostenibile – quanto più sapremo servirci delle informazioni a nostra disposizione. Coordinando strategie e prassi orientate alla riduzione degli sprechi e all’utilizzo di risorse a basso impatto”. In un’ottica di assoluto pragmatismo, come “la Tassonomia del resto lascia sperare sarà”. Insomma, a prescindere dal voto sull’auto elettrica c’è la consapevolezza che la sfida del progresso non potrà che passare dalla capacità dell’Ue di mantenere quella posizione di primo piano nella cultura e nelle maestranze di estrema specializzazione anche nell’era della transizione. Evitando ogni istinto che spinga all’autocastrazione delle nostre eccellenze. E coinvolgendo le istituzioni più orientate al lungo periodo, come la Bei, nella progettazione.