Perché leggere questo articolo? L’Fmi lancia un allarme per la crescita globale e riduce le stime del Pil dell’Italia. Ma ecco perché non c’è da disperarsi.
Il Fondo Monetario Internazionale, un mese dopo l’Unione Europea, taglia le prospettive di crescita del Pil dell’Italia per il 2023, dal +1,1% allo 0,7%, un dato ancora più basso del +0,9% stimato da Bruxelles. L’istituto finanziario con sede a Washington ha aperto un alert sull’Italia in quanto l’economia di Roma vedrà, secondo i suoi dati, la stessa crescita del Pil per il 2024.
La crescita azzoppata
Questo in prospettiva rischia di creare subbuglio in un contesto globale di attenzione per il sistema-Italia: dal Patto di Stabilità che può tornare con annessa austerità alla minaccia di un taglio del rating e dunque di un declassamento del debito italiano, un Pil in minore crescita impone ovviamente un danno al denominatore nel rapporto debito/Pil. Ergo una strutturale fragilità nella sostenibilità dell’indebitamento.
Allarme rosso? Non ancora. Almeno non per ora. Perché dalla Grande Recessione in avanti (cioè dal 2008 a oggi) un dato con un Pil in crescita al +0,7/+0,9% si classifica come un anno ordinario e nella media per un’economia strutturalmente in difficoltà d’espansione. lobale segni un +3% dal 3,5 del 2022 per limarsi a +2,9% nel 2024 (la precedente stima era di +3%).
La crescita del Pil nel 2023? Non peggio della media
In quindici anni l’Italia ha avuto cinque anni di recessione (2008, 2009, 2012, 2013 e 2020) per la Grande Recessione, la crisi dei debiti e il coronavirus.
Togliendo il 2010 e il 2021-2022, anni di “rimbalzo” del Pil dopo duri shock, solo in due casi la crescita del Pil ha superato in anni ordinari il punto percentuale. Stiamo parlando del 2016 e del 2017. In tutti gli altri anni la crescita del Pil reale si è aggirata tra lo 0,8 e lo 0,9% con anni di picchi negativi: nel 2011 +0,58% nel pieno della tempesta dello spread che esaurì il rimbalzo post-2010 e preparò lo tsunami del 2011-2012; nel 2014 +0,11% e nel 2019 +0,3% in anni di affanno del commercio globale. Vero e proprio traino dell’economia italiana.
Prima ancora che dei singoli governi, crescite e recessioni sono trainate dagli shock mondiali e dalle conseguenti risposte su cui l’Italia e il suo sviluppo si allineano. Ad esempio, il rallentamento che l’Istat (che segna +1,1% per il 2023 e +1,2% per il 2024) ancora non rileva nella crescita si inserisce secondo il Fmi in un trend globale in cui la crescita dell’economia-mondo piazza un +3% nel 2023, calando dal 3,5 del 2022, ed è destinata a limarsi ulteriormente a +2,9% nel 2024 (la precedente stima era di +3%).
Le sfide globali e il ruolo dell’Italia
Tensioni geopolitiche, crisi energetiche e aumenti dei tassi hanno creato una situazione macreconomica complessa in cui il Pil italiano ha sofferto, al pari di quello di tutta Europa. Ma le luci prevalgono sulle nubi, specie considerato il fatto che il Paese ha evitato un rapido esaurimento della ripresa post-Covid e, soprattutto, una nuova recessione. L’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano ricorda che per l’Italia si è nel 2023 “registrata una buona tenuta delle esportazioni, che riflette le ristrutturazioni delle aziende e il loro rafforzamento patrimoniale avvenuto in questi anni difficili”. Sul Pil “a svolgere un ruolo di stimolo della crescita sono stati la forte ripresa del turismo, i crediti edilizi e un aumento del debito pubblico maggiore che nella media dell’Eurozona. Questi fattori hanno consentito all’Italia di continuare a crescere anche nel primo trimestre del 2023″ nonostante la distorsione recessiva della Germania, primo partner commerciale dell’Italia.
Il contesto generale parla comunque di un’economia che vive sì tensioni ma è in salute non peggiore del resto dell’Occidente. Il nodo gordiano per l’Italia è legata al fatto che, come ha sottolineato a True-News l’economista Andrea Roventini, tre shock recessivi in quindici anni impediscono a Roma di poter aspirare ad aver un Pil maggiore di quello del 2008. In quest’ottica ogni segno più deve essere considerato benvenuto. Gli allarmi possono e devono esserci se relativizzati e letti pari a pari con le opportunità di espansione della crescita e dei commerci. Che in un 2024 dato dagli analisti come ad inflazione calante possono essere non banali.