Unicredit si descrive come una “banca commerciale paneuropea semplice e di successo”, nonché uno dei principali gruppi finanziari europei e banca leader nel contesto italiano: il gruppo guidato da Andrea Orcel ha conosciuto in passato fasi di destabilizzazione che hanno messo a repentaglio tali prospettive, ma ora mira a essere all’altezza di tali definizioni.
Il gruppo nasce nel 1998 come Unicredito italiano in seguito alla fusione di Credito Italiano e Unicredito. Un anno più tardi, lo stesso gruppo è formato da sette banche italiane: Credito Italiano, Rolo Banca, CariVerona, Banca CRT, Cassamarca, Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, Cassa di Risparmio di Trieste.
I piani di espansione all’estero
Inizialmente la banca, in una fase di grande euforia finanziaria, guardava oltre i confini italiani. A inizio millennio iniziò la crescita internazionale di Unicredit con l’acquisizione di Bank Pekao SA in Polonia, alla quale seguirà una crescita geografica dell’intero business e un’espansione nei mercati in via di sviluppo. Nel 2000, intanto, vengono acquisite diBulbank (Bulgaria), Pol’nobanca (Slovacchia) e Pioneer Investments (Boston), con la conseguente creazione di Pioneer Global Asset Management. Le radici per la “conquista” internazionale sono piantate, e i fiori non tarderanno a sbocciare. Nel 2005 assistiamo all’aggregazione tra Unicredit e il gruppo tedesco HVB per la creazione della prima vera banca europea. Allo stesso tempo, l’istituto italiano si espande ancora nella periferia d’Europa, prelevando Yapi Kredi da parte di Koç (Turchia). Un’altra tappa decisiva ai fini dello sviluppo di Unicredit avviene nel 2007, quando avviene l’aggregazione con il gruppo Capitalia, nato nel 2002 dalla fusione di Banca di Roma, Bipop Carire, Banco di Sicilia, MCC e Fineco.
Crisi e rinascita
Se, come abbiamo visto, il gruppo Unicredit ha saputo espandersi per molti anni realizzando operazioni pragmatiche e intelligenti, lo stesso ha subito una prima, brusca frenata nel 2008 a causa della crisi finanziaria dei mutui subprime. Il titolo azionario del gruppo viene travolto in pieno da un’onda violentissima, tanto che nel settembre di quell’anno le azioni crollarono quasi del 30%. L’allora amministratore delegato, Alessandro Profumo, non potè far altro che convocare il Cda e proporre un aumento di capitale dal valore di 3 miliardi di euro, così da rafforzare l’assetto patrimoniale. Non c’è stato neppure il tempo di tirare un sospiro di sollievo che nel 2011 Unicredit ha dovuto fare i conti con la crisi dei debiti sovrani dell’Europa Meridionale. Anche in questo caso, le azioni del gruppo incassano perdite notevoli, con punte di -63%. La strada verso la ripresa arriverà qualche anno più tardi (2016), quando il gruppo cede Bank Pekao e la quota di controllo della società Pioneer Investment, incassando rispettivamente 3 miliardi di euro e 3,54 miliardi di euro. Nel frattempo assistiamo a nuovi aumenti di capitale; il quarto arriva nel gennaio 2017, con 13 miliardi di euro. Nel 2018 la banca fattura 19,7 miliardi di euro e fa registrare un utile prima delle imposte di 3,9 miliardi. Sono le prime luci in fondo al tunnel di scossoni globali, ma le dismissioni non sono ancora terminate.
La fame di rilancio
La pandemia di Covid-19 ha sancito di fatto la fine di una graduale ritirata tattico-strategica coincisa con l’amministrazione di Jean-Pierre Mustier nella banca che ha avuto sede dal 2014 in avanti nel grattacielo di Piazza Gae Aulenti a Milano. Nel 2019 Unicredit vendette metà del 35% della quota in FinecoBank, mentre a luglio ha ceduto la parte rimanente e, in seguito, colloca presso investitori istituzionali l’8,4% di Mediobanca. Parallelamente, la ricerca di capitali ha portato quote del gruppo ad andare in mano a BlackRock (5,075%), Capital Research and Management Company (5,022%), Norges Bank (3,011%), ATIC Second International Investment Company LLC (2,016%) e Allianz Gruppo Allianz SE (1,255%).
Quattro anni in perdita nel decennio: la sfida a distanza con Intesa
Affaritaliani ha infatti fatto notare che Unicredit “nel decennio 2010-2020 ha visto ben 4 anni in perdita per un totale di 37,8 miliardi di euro di passivo”. Oltre il doppio dei 18,5 miliardi di utili dei rimanenti esercizi, per un conto complessivo di quasi 20 miliardi di perdite. “Tutto ciò mentre Intesa sfornava i suoi 29 miliardi di profitti netti. Non deve quindi stupire che UniCredit e Intesa che vantano valori di patrimonio netto simili intorno ai 60 miliardi siano giudicati dal mercato in modo assai differente”, con Intesa che capitalizzava a inizio anno stabilmente 40-45 miliardi di euro contro i 20 della rivale. Per questo la fine della gestione Mustier, contraddistinta da partite per la mera sopravvivenza del gruppo, ha portato con sé una svolta non secondaria. La banca ha visto, per la prima volta nella sua storia, due romani alla guida: l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan alla presidenza e, soprattutto, il supermanager Andrea Orcel, chiamato come ad.
L’arrivo di Orcel, il “Cristiano Ronaldo della finanza”
Orcel, nel 1998 da dirigente di Merril Lynch fu tra i registi della manovra di consolidamento bancario che diede vita al gruppo di Piazza Gae Aulenti e in seguito ha lavorato con gruppi come Banco Santander e Ubs conquistandosi una nomea di specialista in operazioni di fusione e acquisizione (M&A) e l’appellativo di “Cristiano Ronaldo della finanza” per la sua abilità nelle questioni tecniche e la sua competitività, ha prospettato una svolta in tre punti.
Alt alla fusione a freddo con Monte dei Paschi
Prima mossa: nessuna fusione a freddo, che provocherebbe il rischio di un collasso strutturale di Unicredit. Per questo Orcel e Unicredit hanno tenuto il punto su Monte dei Paschi di Siena, rifiutando di accollarsi l’intera struttura finanziaria pericolante di Rocca Salimbieni e aprendo a una trattativa col Tesoro per uno “spezzatino” o una graduale redistribuzione degli oneri del gruppo. Così come è stata abbandonata la velleità di un’Opa su Bper che replicasse la ben più strutturata mossa con cui Intesa ha “annesso” Ubi.
L’Italia al centro
Secondo punto: una strategia avente l’Italia al centro. Unicredit non ha pagato solo errori del suo management, anzi, essi sono causa solo secondaria o minima di un decennio difficile. Il grande dilemma del gruppo è sempre stato la sua natura di figlio dell’era della globalizzazione rampante in una fase contraddistinta da crisi sistemiche. Mustier è stato un “ristrutturatore” nei suoi quattro anni a Piazza Gae Aulenti, ma non poteva fare altrimenti. Complice la spinta al consolidamento e il valore strategico delle banche nell’era della pandemia e del Recovery Fund, Orcel può permettersi di guardare a una strategia centrata sulla penisola. “Orcel ha rimesso la chiesa al centro del villaggio, ha rimesso l’Italia al centro della strategia di Unicredit”, ha dichiarato Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi per poi rimarcare “finalmente per Unicredit parliamo di un vero piano di rilancio”. Le intenzioni racchiuse nella strategia 2022-2024 segnalano che per Unicredit l’Italia varrà 2 miliardi di utile a fine piano sui 4,5 attesi a livello di gruppo; Gae Aulenti imporrà una spinta sul risparmio gestito, business redditizio e a basso assorbimento del capitale, per trasformare il cash dei depositi in prodotti di investimento e, infine una apertura sul fronte M&A, purché accrescitiva del valore del gruppo. Dunque mai fare il passo più lungo della gamba.
I dividendi e l’attenzione agli investitori
Di conseguenza, veniamo alla terza mossa: l’attenzione agli investitori. Nel piano 2022-2024 si prevede la distribuzione di 16 miliardi di euro in dividendi agli azionisti e una crescente valorizzazione del titolo con politiche di buyback. Per l’esercizio 2021 è prevista la distribuzione di 3,7 miliardi ai soci, con il 30% di payout e un buyback azionario. Una svolta dopo anni complessi: nell’ultimo anno, non a caso, Unicredit ha guadagnato quasi il 40% del valore in borsa tornando a sfiorare i 30 miliardi di capitalizzazione. La lunga marcia verso la sfida a Intesa comincia con l’autoconsapevolezza di poter giocare da player primario.