Perchè questo articolo potrebbe interessarti? La crisi economica ed energetica sta ormai travolgendo tutto il mondo. Esistono tuttavia approcci interessanti ed efficaci, diversi rispetto a quello adottato dall’Occidente. Un esempio lampante viene dalla Corea del Sud. Seoul, capitale del dinamico Paese asiatico, sta adottando una ricetta del tutto particolare. L’obiettivo: accontentare i cittadini e non danneggiare le aziende. In tutto ciò qual è il ruolo giocato dall’Italia? Quali sono i rapporti commerciali tra i due Paesi?
Inflazione galoppante, valore della valuta nazionale in calo, importazioni superiori alle esportazioni. E ancora: aumento dei prezzi dell’energia e vendite a picco. Non bastavano le peggiori piogge torrenziali degli ultimi 80 anni, seguite, a distanza di un mese, dal tifone Hinnamnor. La Corea del Sud deve fare i conti anche con un’altra tempesta. La stessa tempesta globale economica che sta mettendo in seria difficoltà l’Occidente. L’approccio adottato da Seoul per mitigare la crisi appare tuttavia ben diverso dal modus operandi europeo ma, non per questo, sbagliato o inefficace. Al contrario, e al netto di contesti ben differenti, può essere utile capire come reagisce il resto del mondo di fronte alle nostre stesse difficoltà. Per trarre, laddove possibile, preziose lezioni.
Per quanto riguarda l’Italia, i rapporti economici tra il nostro Paese e la Corea del Sud sono solidi e ramificati. È per questo ogni scossone riguardante Seoul non può che interessare, almeno indirettamente, anche Roma. Nel 2018, in occasione della visita ufficiale in Italia dell’allora presidente sudcoreano Moon Jae In, le relazioni bilaterali tra i due Paesi sono state innalzate a livello di “Partenariato strategico“. Nel 2020 l’interscambio commerciale ha toccato i 7,8 miliardi di euro con un surplus italiano di circa 1,5 miliardi di euro. Nello stesso anno la Corea del Sud è stata il terzo mercato di sbocco dell’export italiano in Asia (dopo Cina, Giappone e prima di Hong Kong), per un valore di 4,6 miliardi di euro. Seoul importa, pro capite, più merci e servizi italiani di ogni altro Paese asiatico. Sempre relativamente al 2020, lo stock di investimenti italiani in Corea del Sud ammontava infine a 1,890 miliardi di euro.
Anche Seoul nell’occhio del ciclone
Il primo problema sudcoreano riguarda la perdita del valore del won rispetto al dollaro. Nel 2022, la valuta sudcoreana ha perso l’8% del suo valore rispetto al “foglio verde”. E questo è avvenuto di pari passo con il ritiro degli stimoli di emergenza pandemica da parte della Fed statunitense. L’altro grande nodo spinoso fa rima con inflazione. Il 3 maggio la crescita dell’inflazione aveva raggiunto il massimo da 13 anni a causa dell’impennata dei prezzi del carburante. Alla fine di giugno la Bank of Korea (BOK) si aspettava una crescita inflazionistica ancora più veloce, fino a toccare il suo punto più alto in 14 anni. A luglio l’agenzia Yonhap scriveva che l’inflazione aveva raggiunto il massimo da 24 anni (+6,4%). Problemi simili ai nostri, dunque, ma affrontati, come vedremo, in modo diverso.
Certo è che l’aumento dei prezzi fa tornare alla mente di tanti sudcoreani il più disastroso colpo economico mai subito dalla Corea nell’era moderna. Stiamo parlando della cosiddetta crisi finanziaria asiatica del 1997-98. All’epoca il Fondo Monetario Internazionale (FMI) intervenne con un salvataggio da 60 miliardi di dollari per salvare l’economia sudcoreana. Seguirono rigide riforme, richieste in cambio per la somma erogata. Dopo aver ristrutturato le banche e disciplinato i conglomerati economici, la Corea del Sud si è ritrovata con un’economia a prova di recessione. Fino al 2020, anno della pandemia di Covid, Seoul non ha contato un solo anno di crescita negativa. Oggi le fondamenta economiche del Paese – dal sistema finanziario alle riserve valutarie – risultano abbastanza solide per scongiurare il ripetersi di una stagione da incubo. Ma la bestia inflazionistica sta galoppando più velocemente del previsto.
Salvaguardare l’economia
Tra gli altri aspetti da sottolineare troviamo gli enormi livelli di debito delle famiglie sudcoreane, salite al 106,7% del pil nel terzo trimestre del 2021. È per questo che qualsiasi aumento dell’onere del debito è politicamente sensibile. L’alternativa della BOK combacerebbe con un rialzo dei tassi, solo che una simile soluzione non verrebbe affatto apprezzata dal mondo industriale. Il motivo è semplice: la locomotiva economica nazionale sta iniziando a balbettare. A giugno le esportazioni sono scese a 57,73 miliardi di dollari dai 61,52 miliardi di maggio. Da non dimenticare, inoltre, che le spedizioni di chip all’estero sono diminuite del 7.8% su base annua a 10,78 miliardi di dollari. Non un dato da poco, visto che la domanda di semiconduttori ha tenuto a galla l’economia sudcoreana durante la pandemia di Covid. E che la Corea è un Paese esportatore per eccellenza.
Il governatore della BOK, Rhee Chang-yong, ha detto che la banca punterà alla stabilità dei prezzi, almeno fino a quando la tendenza al rialzo dell’inflazione non sarà contenuta. In altre parole, l’obiettivo è fare meno danni possibili, cercando un complesso equilibrio tra le richieste del cittadino medio e le esigenze dei grandi conglomerati. Pochi Paesi hanno beneficiato dell’economia globale come la Corea. Il punto è che questa elevata esposizione si è trasformata adesso in un’arma a doppio taglio. In ogni caso, Seoul non ha intenzione né di distribuire bonus a pioggia né di far affondare la sua locomotiva economica. Il messaggio è chiaro: la stabilità di un Paese deriva anche (e in questo caso soprattutto) dal benessere delle sue aziende.
IL FUTURO DELL’ASIA PASSA DALLA CORE DEL SUD: LA PRIMA PARTE DEL REPORTAGE DA SEOUL