Un male comune e necessario. O, meglio ancora, piuttosto che niente… meglio la Dad. Non ci sono grandi dubbi sulle carenze e i limiti della cosiddetta “Didattica a Distanza” (Dad) e tutti gli studi e i sondaggi al riguardo sembrano concordare. La Dad ha aumentato le disuguaglianze negli apprendimenti – a seconda delle scuole, delle fasce di reddito e delle regioni. Anche per questo, il governo Draghi ha deciso il ritorno di tutti gli under-12 in classe dal 7 aprile. Anche nelle zone rosse.
Il rapporto di Treu
Non sono supposizioni. Tiziano Treu, presidente del Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), ha usato parole dure inviando la relazione 2020 al Parlamento sulla qualità dei servizi offerti dalle Amministrazioni pubbliche. La pandemia, si legge, “ha avuto un effetto dirompente su tutti i servizi pubblici, sia a livello centrale che locale, accentuandone le criticità e facendo emergere la ‘fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni”.
Ma non si tratta solo delle difficoltà di insegnamento e apprendimento via computer. Certo, la scuola digitale prevede un processo diverso e più impacciato ma rimane comunque possibile, se si hanno gli strumenti. Ed è quel “se” il problema, perché per strumenti non intendiamo solo computer e tablet ma infrastrutture e connessioni internet degno del XXI secolo, ancora latitanti in molte zone d’Italia.
Digital divide
Treu ha ricordato come “l’aumento della povertà e il peggioramento delle condizioni di vita, certificati dall’Istat” abbiano ripercussioni sui servizi pubblici. Queste mancanze dipendono “dai mancati investimenti dell’ultimo ventennio nei servizi sociali e nella sanità, innanzitutto, nella scuola e università, nelle infrastrutture e nella digitalizzazione e informatizzazione, dalla mancanza di una visione a lungo termine”.
Risultato: il circolo vizioso del digital divide, per cui le persone meno connesse hanno imparato meno e peggio. Il rapporto del Cnel cita inoltre uno studio della Banca Mondiale secondo cui la chiusura delle scuole potrebbe portare a un aumento del 25% degli studenti quindicenni “al di sotto del livello minimo di competenze”.
I numeri in Italia
Attenendoci al caso italiano, sono 10,8 milioni gli studenti – dal livello pre-primario a quello universitario – che hanno perso quasi “un quarto di anno scolastico”, con un calo degli apprendimenti che arriva al 30%. Numeri pesantissimi, non solo dal punto di vista umano. Perché peseranno nell’economia, con un impatto del Learning loss pari “stimato in una perdita di Pil dell’1,5% annuo per il resto del secolo”.
È per questo che le associazione di categoria – oltre che i genitori – hanno festeggiato il ritorno a scuola. Il quale rappresenta un rischio, sia chiaro, ma un rischio che si è disposti a correre. Anche perché ormai siamo costretti a farlo.