Perché leggere questo articolo: Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat, parla del tema natalità, E sottolinea la connessione tra culle vuote e problemi dei flussi scolastici di oggi e domani.
La costante crisi della natalità sta investendo l’Italia e presto può fare iniziare a sentire tutti i suoi effetti sociali, economici e politici sul Paese. Di recente ha fatto scalpore a livello internazionale la notizia rimbalzata dal Giappone: il Paese del Sol Levante ha chiuso 8.580 scuole nell’ultimo ventennio per effetto del calo demografico e degli accorpamenti tra istituti e ora il governo si trova di fronte al dilemma della gestione di un complesso patrimonio immobiliare da destinare a altri scopi. L’Italia seguirà? “Non con lo stesso trend drammatico, ma il caso del Giappone è quello che è destinato a riguardare, in un futuro non molto lontano, anche l’Italia”, dice a True-News Gian Carlo Blangiardo, statistico, già docente all’Università di Milano-Bicocca e, dal 2019 al marzo scorso, presidente dell’Istat.
Blangiardo: “Il calo della natalità sta già venendo scontato”
“Il calo della natalità”, nota Blangiardo, “sta già venendo gradualmente scontata dal sistema formativo perché subiamo oggi nei cicli scolastici gli impatti dell’ultimo balzo all’indietro della natalità”. L’ex presidente dell’Istat ricorda che “tale calo prosegue da decenni ma ha avuto un vero e proprio crollo a partire dal 2008”. E “tutto questo si riflette nei flussi formativi”. La conseguenza diretta del problema delle “culle vuote” è l’abbandono delle scuole, che metaforicamente potremmo definire “aule vuote”.
I dati disponibili per l’Italia non sono ampi come quelli del Giappone, ma testimoniano comunque un trend simile, confermando la lettura di Blangiardo. Giuseppe Valditara, titolare del Ministero dell’Istruzione, ha ricordato che dai 7,4 milioni di studenti del 2021 entro la fine del decennio si passerà a 6 milioni di alunni in un ciclo primario e secondario. Un recente report Tuttoscuola ha ricordato che tra l’anno scolastico 2014-2015 e quello 2022-2023 in Italia hanno chiuso 2.600 scuole, i due terzi delle quali, 1.700, nel Mezzogiorno.
Blangiardo: si va verso la “effetto catastrofico sul mercato del lavoro”
Per ora si parla principalmente di primarie e secondarie inferiori ma presto seguiranno gli istituti superiori. Ed è naturale, per Blangiardo: “il trend negativo si ripercuote sul flusso formativo mano a mano che i nati dopo il crollo del 2008-2009 proseguono nel loro ciclo nel sistema formativo”. Una situazione sempre più complessa attende l’Italia, dunque. Il calo della natalità prosegue, nel frattempo, inesorabile: “Nel 2022 abbiamo avuto 393mila nati, un numero minimo nella nostra storia unitaria”, ricorda l’accademico. Aggiungendo che “il trend descritto dai dati sui primi otto mesi nel 2023 lascia presagire un altro anno no”. Il più recente rapporto sulla natalità dell’Istat, infatti, ricorda che da gennaio a agosto le nascite sono diminuite di 8mila unità, un calo dell’3% sullo stesso periodo del 2022.
Lo step successivo? “Sarà un effetto catastrofico sul mercato del lavoro”, nota Blangiardo. “Oggi gli italiani sono poco meno di 59 milioni, sottolinea”, tra cinquant’anni “perderemo 13 milioni di abitanti al ritmo attuale” di decrescita della popolazione. La fascia attiva della popolazione “sarà tra mezzo secolo pari a circa 10 milioni di persone. Parliamo di una perdita di milioni di lavoratori, con ovvi e strutturali effetti sul Pil e la crescita” a meno che “non si aumenti la produttività in maniera netta”.
Natalità e agenda politica
Si capisce, di fronte a questi dati, il fatto che “ci sia un crescente focus sulla natalità. Negli ultimi anni ha fatto bene Mario Draghi a porre il tema della natalità sul tavolo e sul tema è molto apprezzabile lo sforzo dell’attuale governo Meloni, che ha addirittura inserito la natalità nel nome stesso del Ministero per la Famiglia [guidato da Eugenia Roccella, ndr]”, una misura “impensabile” fino a pochi anni fa. “Lo sforzo fatto per fare politiche indirizzate a favorire l’aumento della natalità è sicuramente coraggioso”, sottolinea il professore, ma chiaramente “capire se sortiranno effetti è un’altra cosa perché il percorso è in salita anche per una semplice questione demografica e biologica: si mira ad aumentare il numero di nuovi nati in un contesto in cui il numero di potenziali madri è sempre in graduale diminuzione”.
In quest’ottica, quale compito per il decisore? Per Blangiardo “la politica e strumenti come il welfare aziendale possono rimuovere tutti quegli ostacoli che rappresentano un freno oggettivo, economico e sociale, a uno strutturato progetto di vita orientato alla genitorialità delle coppie.”. Ostacoli e freni che spesso si sostanziano in scelte orientate alla procrastinazione “e troppo spesso hanno come sbocco finale la definitiva rinuncia” all’idea di aver figli.
Strumenti pubblici e privati destinati a questo scopo possono essere molto utili a intervenire “sul fronte di quelle che definisco le tre C, le tre sfide chiave per la natalità“: in primo luogo, per Blangiardo, “c’è un tema di costi. Il costo per una coppia che ha figli non è trascurabile, e a questo si aggiunge un costo in termini di tempi per i neo-genitori che va alleviato il più possibile. Segue il necessario tema della cura, che si sostanzia nelle politiche per gli asili e il sostegno all’educazione dei più piccoli. Tutto questo in un contesto avente al centro la terza C, la conciliazione per le madri“. Le quali devono poter aver accesso a tutte le possibilità offerte dalla genitorialità “senza alcuna penalizzazione nel loro ruolo di lavoratrici e professioniste”. Una sfida cruciale quanto la stessa partita per il rilancio della natalità.