Il funzionamento di uno Stato è molto complesso, più di quanto non si possa immaginare. Indipendentemente dalla forma di governo in atto, ogni Paese deve provvedere ad alimentare la propria macchina organizzativa. Questo significa, tra gli altri aspetti, garantire i servizi base alla popolazione, sostenere la crescita economica della nazione e alimentare il flusso di investimenti.
Spesa pubblica: il carburante che fa funzionare il motore degli Stati
Il carburante per far funzionare il motore coincide con la spesa pubblica, in gergo il denaro di provenienza pubblica impiegato dallo Stato per mantenersi. Sono comuni i Paesi che hanno uscite economiche superiori alle entrate, e in quel caso diciamo che i governanti si trovano tra le mani un deficit, più o meno grande a seconda del rapporto tra soldi spesi e soldi incassati, magari mediante tasse o prestiti.
Debito pubblico: lo strumento per finanziare il proprio deficit
Per finanziare il proprio deficit, con l’obiettivo di stabilizzarlo, renderlo sostenibile o azzerarlo, uno Stato può chiedere denaro in prestito contraendo così un debito. Questo debito prende il nome di debito pubblico, e consiste nell’ammontare totale del debito che il Paese X contrae o ha contratto nel passato per far fronte al proprio fabbisogno.
Debito pubblico: ecco con chi lo contraggono gli Stati
Ma quali sono i soggetti con i quali uno Stato può contrarre debito? Troviamo soggetti pubblici e privati, nazionali oppure esteri. Scendendo nel dettaglio, il ventaglio è molto vasto e spazia dai singoli risparmiatori alle imprese, dalle banche ad altri Stati terzi, passando per istituzioni internazionali. Ricordiamo che il denaro necessario viene raccolto soprattutto attingendo a uno strumento finanziario piuttosto noto: l’emissione di obbligazioni a scadenza variabile (Titoli di Stato). Attenzione, infine, a non confondere la spesa pubblica, e quindi il disavanzo che si genera nell’arco di un esercizio finanziario, con il debito pubblico, e cioè l’ammontare di denaro che uno Stato deve restituire ai soggetti con cui ha contratto debito.
Il debito pubblico italiano
Alla fine dello scorso agosto, il debito pubblico italiano ammontava a 2.734 miliardi di euro. Più in generale, il Fondo Monetario Internazionale ha sottolineato come questo sia salito, passando dal 134,6% del pil nel 2019 al 157,5% nel 2020 e, addirittura, a quasi il 160% del pil nel corso del 2021; ciò nonostante, il debito pubblico italiano è stato definito come “sostenibile” grazie a bassi tassi di interesse a alla previsione di una crescita economica nello scenario di post Covid.
Chi controlla il debito pubblico italiano?
Chi controlla il debito pubblico italiano? Per avere un’ottima panoramica, attuale ancora oggi, è utile dare un’occhiata alla ricerca effettuata dalla società di consulenza Prometeia nel 2019. La maggior parte dei titoli pubblici – e quindi del debito – è controllata dal mercato o da operatori privati: l’80% in termini di pil (all’epoca il 53% in mano a operatori italiani e il 27% in mano a operatori esteri). Seguono con il 33% le istituzioni europee e le banche centrali e con il 20% altri soggetti. Alla fine del 2016, Bankitalia possedeva il 14,5% del debito pubblico nazionale (dato in aumento), mentre banche (17,8%), assicurazioni (15,8%) e intermediari finanziari (6,8%) vedevano scendere la loro fetta.
Gli italiani non controllano il proprio debito pubblico
Gli italiani, inteso come cittadini, controllano una fetta irrisoria del debito, che tre anni fa si attestava intorno al 6%, evidenziando un crollo enorme rispetto alla quota del 57% da loro presieduta nel 1988; è pur vero che, considerando i fondi comuni, le polizze assicurative e i conto deposito bancari, la fetta nelle mani dei risparmiatori è destinata a salire. In ogni caso, ben più interessante è constatare come quasi l’80% dei titoli di Stato italiani in mani straniere sia parcheggiato nell’Eurozona, dove, sempre nel 2019, Francia (21%), Germania (14%), Lussemburgo (14%), Spagna (12%) e Irlanda (8%) facevano la parte dei leoni. Al di fuori dell’Ue, invece, avevamo il 5% dei titoli di Stato italiani in Giappone, il 4% negli Stati Uniti, il 2% in Gran Bretagna e un altro 2% alle Isole Cayman. Stiamo parlando di dati registrati nel 2019,che sicuramente saranno nel frattempo cambiati. Ma, ripetiamo, cifre del genere sono utilissime per far capire ai lettori le particolarità del debito italiano.
Quando un debito pubblico è rischioso (e quando no): Giappone e Argentina a confronto
Paese che vai, debito pubblico che trovi. Allargando la nostra analisi al mondo intero, è interessante analizzare come sono strutturati i debiti pubblici di altri Stati. Prendiamo l’esemplare caso del Giappone. Tokyo continua ad affidarsi all’abenomics, la politica economica introdotta nel 2012 dall’allora premier Abe Shinzo basata su massicci programmi di spesa pubblica pompati e finanziati dalla banca centrale giapponese. Quest’ultima, in sostanza, acquista titoli di Stato mantenendo bassi i tassi di interesse del debito e alta la liquidità del Paese. Il Giappone, dunque, va avanti con i soldi presi in prestito dai propri cittadini, stampa moneta e continua a indebitarsi.
Eppure, anche se può vantare il più grande rapporto debito/pil del mondo, non rischia quasi niente. Anzi: i mercati hanno sempre mostrato un’incredibile fiducia nella capacità prospettica del governo nipponico di onorare il suo debito monstre. Il motivo è presto detto, e in parte lo abbiamo accennato: i detentori del debito si dividono tra settore finanziario nazionale (poco meno del 40%), famiglie (circa il 10%), governo (quasi il 5%) e Bank of Japan (oltre il 40%). Detto altrimenti, il 90-95% del debito pubblico giapponese è nelle mani degli stessi giapponesi, rendendo il scarso il movimento degli scambi e fornendo una base solida.
L’Argentina è agli antipodi del modello nipponico. Più volte finita in default, Buenos Aires è in costante e perenne debito con organismi internazionali, tra cui il Fondo Monetario Internazionale, mentre la quota nelle mani di organismi nazionali e banca centrale è quasi inesistente.
Debito pubblico e rischio finanziario
E gli Stati Uniti? La maggior parte del debito Usa (a ottobre ammontava a 28mila miliardi e mezzo di dollari) è in mano agli americani, con il 70% della torta da suddividere tra investitori, governo nazionale, istituzioni varie e Federal Reserve; meno del 30% è invece da ricondurre a entità straniere tra cui Cina (no, Pechino non controlla l’intero debito statunitense), Giappone e Brasile. Al di là dell’ammontare del debito, è quindi fondamentale capire chi detiene quel debito. È in base a questa risposta che possiamo intuire la sua eventuale pericolosità finanziaria.