Perché leggere questo articolo? Mps è l’eterno dilemma dei governi italiani. Riuscirà Meloni a riportare la banca di Siena nel mercato, laddove Conte e Draghi non sono riusciti?
Oltre la cronaca, Meloni vuole arrivare laddove Giuseppe Conte e Mario Draghi non sono riusciti. Oggi il Ministero dell’Economia e delle Finanze controlla il 64% del capitale e nella tornata di nomine imminente è pronto a riconfermare l’amministratore delegato Luigi Lovaglio. Il manager, capace di riportare all’utile operativo la banca, è ritenuto un valido pontiere per l’ordinaria amministrazione. La presidente Patrizia Grieco si è invece dimessa nella giornata odierna e sarà sostituita nel round di nomine in arrivo.
Ma è alla politica che è affidata la risoluzione della questione nevralgica: come dare un futuro d’ampio respiro a Mps? Sulla risoluzione di questo problema Giorgia Meloni si gioca una grossa fetta di credibilità in campo di politica economica.
Crocevia Mps
Mps è tornata all’ordine delle cronache dopo l’approvazione della commissione d’inchiesta sulla morte dell’ex manager David Rossi. Un cold case italiano che va di pari passo con la partita della risoluzione della grana Mps per l’esecutivo. Nel 2023 il governo Meloni dovrà infatti doppiare una sfida importante con la questione Monte dei Paschi di Siena. Mps è sotto il controllo dello Stato dal 2016, quando fu nazionalizzata dal governo Renzi per evitare il crac dell’istituto.
Nel frattempo, Meloni vuole arrivare laddove Giuseppe Conte e Mario Draghi non sono riusciti. Riportare Mps nel mercato con una soluzione di ampio respiro; garantire un futuro alla banca di Siena, la più antica del mondo; di converso, farlo “da destra” in un contesto territoriale storicamente favorevole al Partito Democratico. Queste le priorità in nome delle quali Meloni ha spinto su Giancarlo Giorgetti perché dal ruolo di Direttore Generale del Tesoro, e dunque gestore del dossier Mps, venisse rimosso Alessandro Rivera. Coperto di critiche per non esser riuscito a trovare una soluzione di mercato prima della nascita dell’esecutivo conservatore.
I tre punti di Meloni
Il punto di partenza è quello del 29 dicembre 2022, giorno della conferenza stampa di fine anno in cui Meloni ha dichiarato: “E’ stato fatto un aumento capitale, c’è una ristrutturazione che ci sembra abbastanza solida. Lavoriamo per un’uscita ordinata dello Stato e per creare le condizioni per cui in Italia ci siano più poli bancari italiani”.
Tre punti per tre filoni operativi in cui si dovrà consolidare il ritorno di Mps sul mercato. In primo luogo, quanto durerà il capitale consolidato venutosi ad aggiungere per Mps? A febbraio l’uscita di uno degli aderenti all’aumento, la francese Axa, ha riaperto dubbi su questo tema. La crisi bancaria delle scorse settimane ha fatto per alcuni giorni tremare le banche italiane, pur senza trascinarne nessuna nella bufera.
A fine 2022 il patrimonio netto di Mps e di pertinenza di terzi risultava pari a circa 7,8 miliardi di euro; in crescita di 2,5 miliardi dopo l’aumento varato su iniziativa del governo rispetto a inizio anno. Ma nell’ultimo anno il valore della singola azione della quota flottante si sarebbe, senza tale iniezione, praticamente azzerato, dato che l’azione Mps ha perso il 90% del valore in dodici mesi.
Quanto è solido il Monte?
La solidità della ristrutturazione aziendale farà la differenza per mantenere stabile Mps e aprire all’ordinata uscita dello Stato dal capitale. Nel 2021-2022 Mps ha ricominciato a comportarsi…da banca! I ricavi sono saliti sopra quota 3 miliardi di euro. I crediti deteriorati sono calati del 20% a 3,3 miliardi di euro. L’attività ordinaria di prestiti e finanziamenti, complice il rialzo dei tassi, ha fatto la differenza nel rafforzare la banca. E solo oneri di snellimento del personale, scivoli e uscite anticipate per oltre 900 milioni di euro hanno, per la ristrutturazione, trasformato in perdita un utile netto della gestione operativa di oltre 700 milioni.
In sostanza, e veniamo al terzo punto prospettato da Meloni. Il vero nodo gordiano da sciogliere per capire che ne sarà di Mps. Come si inserirà Mps in un futuro schema di poli bancari nazionali proiettati verso l’aggregazione tra più strutture? La domanda è importante e di valenza strutturale. Mps sarà privatizzata nuovamente solo quando si troverà una banca di sistema capace di valorizzarne il peso e il prestigio, oltre che il presidio territoriale.
Tramontata l’idea Unicredit prospettata dall’ex Ministro dell’Economia e ora presidente di Gae Aulenti, Pier Carlo Padoan, e morta sul nascere l’ipotesi del polo a tre con CariGe e PopBari, Mps deve trovare un acquirente non disposto solo ad accollarsi ma desideroso di valorizzare una grande storia bancaria e industriale.
Mps tornerà nel mercato?
Chiamatosi fuori anche Banco Bpm, l’identikit dell’acquirente ideale appare ora essere quella di una banca solida, di dimensione inferiore a Unicredit ma desiderosa di creare economie di scala con i territori di riferimento di Mps. Da Bper a Credit Agricole Italia, i candidati di tale tipo non mancherebbero. Ma lo Stato deve essere conscio che nessun acquirente potrebbe accollarsi Mps senza la certezza di un almeno moderato profitto. Da qui la possibilità che nel Monte una quota di capitale pubblico resti, magari presidiato dal Mediocredito Centrale a garanzia dei depositi. La palla è in mano al Tesoro targato Meloni. E sebbene la bufera del passato sia ormai lontana, le contingenze odierne impongono una soluzione in tempi brevi per l’eterno dilemma Mps.