Novecento milioni a stagione per cinque anni, in calo rispetto ai 927,5 milioni del triennio 2021-2024, cifra decisamente inferiore al minimo garantito che la Lega Serie A contava di ottenere dal bando originario, 1,15 milioni: sono queste le cifre che la A ha strappato a Dazn e Sky per i diritti tv domestici del periodo 2024-2029, con 17 voti a favore e la contrarietà, esplicita e rumorosa, di Aurelio De Laurentiis, secondo cui così “il calcio italiano morirà”, e che avrebbe preferito di gran lunga un canale di Lega, tentativo estremo che non ha convinto i suoi pari. La A, visti i chiari di luna, ha preferito accontentarsi, ma non gode granché.
Cos’è la revenue sharing?
Certo, ai 900 milioni andrebbe aggiunta la percentuale di revenue sharing che l’ad della Lega, Luigi De Siervo, vede come una significativa possibilità per superare il miliardo. Cos’è la revenue sharing? Si tratta di un meccanismo di divisione al 50% dei ricavi incrementali tra Lega e Dazn se la piattaforma superasse quota 750 milioni di ricavi dagli abbonati. De Siervo parla di soglia non lontana da quella degli abbonati attuali. E sostiene che, se dovessero scattare, si tradurrebbero nell’ipotesi “più conservativa” in circa 60 milioni annui in più, ma il problema sta tutto in quel “se”. A oggi Dazn perde continuamente abbonati, invece che aumentarli, e a meno di politiche di prezzo ultra aggressive e di un miglioramento del prodotto, lo scenario non sembra roseo. Perché, alla fine, urge farsene una ragione. Premier a parte – ci arriveremo – le sorti dei diritti tv domestici in Europa non sono più magnifiche e progressive. Tutt’altro.
Diritti tv in Francia, Germania e Spagna
In Francia una situazione simile la sta vivendo la Ligue 1, la cui prima asta per i diritti tv interni per il quinquennio 2024-2029, la settimana scorsa, era andata deserta. Seguiranno trattative private per cercare di avvicinare l’obiettivo dei 900 milioni a stagione, cifra che pare decisamente lontana da ogni possibilità, e qui vale la pena fare un passo indietro. La Ligue 1 vendette i diritti 2020-2024 ottenendo dal bando 1,153 miliardi a stagione, ma nemmeno un anno dopo questo formidabile risultato i problemi a onorare in tempo i pagamenti da parte di Mediapro – assegnataria dei due lotti più corposi – avevano portato alla rottura dell’accordo tra Lfp e la stessa azienda spagnola.
Producendo contestualmente il crollo complessivo dei pacchetti assegnati e riassegnati a un totale di 663 milioni all’anno, circa il 40% in meno di quanto sperato. Stanti dunque i precedenti, è possibile un aumento rispetto ai prezzi di saldo conseguenti al caso Mediapro. Eppure lontanissimo dal miliardo superato sulla carta nel bando precedente, e mai realizzato pienamente, e anche dalla cifra sperata oggi. E la stessa chiusura dell’accordo per la A, vista in un’ottica di confronto, non aiuta gli appetiti della Ligue 1.
Butta male anche negli altri paesi
L’andazzo era comunque diventato chiaro già dall’assegnazione dei diritti domestici della Bundesliga per il quadriennio 2021-2025. Che aveva visto una diminuzione da 1,16 miliardi a stagione del bando precedente a 1,1 miliardi di quello in atto. Un calo preoccupante non in sé ma in prospettiva. Perché segnava un’inversione di tendenza in un mercato che, in precedenza, aveva sempre visto aumentare gli introiti. La Bundesliga non ha ancora aperto il bando per il prossimo quadriennio – dovrebbe farlo tra un anno – ma non può sottovalutare ciò che sta accadendo in Italia e Francia. In Spagna la Liga aveva venduto i diritti domestici per il quinquennio 2022-2027 a 4,95 miliardi totali, vale a dire circa 990 milioni a stagione, appena 10 milioni ad annata in più rispetto al bando precedente, 2019-2022, che era però triennale.
La Premier è un altro mondo
In tutto questo, c’è un competitor che gioca letteralmente un altro campionato: la Premier League, che a livello di diritti interni incassa già più di 2 miliardi a stagione e punta a superare i 2,2 miliardi nel prossimo bando, cosa peraltro possibile considerando che, a differenza per esempio della A, la Premier non ha mai venduto le dirette di tutti gli incontri (e non lo farà nemmeno stavolta) e può aumentare le gare offerte. Ma, soprattutto, ha un prodotto che si vende facilmente per qualità e riconoscibilità, frutto di trent’anni di lavoro e investimenti – in strutture, consolidamento dei club e loro sfruttamento commerciale, calciatori e allenatori – che hanno portato il massimo campionato inglese a un livello che gli altri tornei europei non riescono neppure ad avvicinare. Guadagna in patria, la Premier, e soprattutto fuori, perché i ricavi da diritti internazionali fruttano anche più di quelli interni. A differenza di quanto accade in altri Paesi. Quelli della A, per dire, se verranno venduti davvero bene frutteranno verosimilmente un terzo rispetto a quelli interni.
Che fare?
A fronte dei cali rispetto ai diritti domestici, un po’ tutte le leghe nazionali puntano a rimpinguare. Migliorando sempre gli introiti dalla vendita dei diritti tv internazionali. Dove la Liga va forte, trainata da Real Madrid e Barcellona (attualmente circa 900 milioni a stagione). Le altre di fatto arrancano. Tra i 300 milioni della Bundesliga, i circa 200 della A e una Ligue 1 che a otto zeri nemmeno arriva. Per sapersi vendere bene oltre i propri confini servono strutture, fuoriclasse e una governance illuminata. L’Italia ha la storia dalla sua, ma il resto latita, anche perché la tradizione ce l’hanno una manciata di club. Non il campionato in sé. E questo vale anche per altre leghe.
Come ravvivare un interesse che sta scemando con una significativa modifica del format di competizioni
Cosa significa questo? Che, a meno di non accontentarsi di una decrescita poco felice, l’unico modo per ravvivare un interesse che sta scemando non può che passare per una significativa modifica del format di competizioni troppo novecentesche. All’interno di un ecosistema che, negli ultimi vent’anni, ha vissuto una rivoluzione epocale in termini di fruizione e con l’ingresso di nuovi mercati potenziali e di nuovi finanziatori ambiziosi e decisamente aggressivi. Il cui obiettivo, però, è un prodotto diverso, basato su logiche e scale differenti.