Perchè leggere questo articolo? L’Italia è pronta a tingersi di giallo e di rosa per la Festa della Donna. Omaggiate con mimose e nuovi bizzarri gusti di gelati, le donne sembrano non essere altrettanto favorite dalle recenti mosse politiche. Il debutto della beffa “bonus mamme” ne è un esempio lampante.
Meraviglie terzorepubblicane in scena mentre arriva l’8 marzo. Se in Francia il diritto all’aborto entra in costituzione, in Italia, a Genova, si omaggia la donna con tre gusti di gelato. In tre gelaterie del capoluogo ligure si potrà assaggiare Val d’Oro e Ibisco, Women e Primavera in rosa, i nuovi sapori creati in occasione della Festa della Donna. Un upgrade gastronomico rispetto alle gelèe al limone regalate da Trenitalia dell’ormai lontano 2019. Passo in avanti che, invece, non arriva dal fronte politico.
Ricordate il pasticciato ma comunque tanto atteso bonus mamme promesso dal governo Meloni? Bene, non solo è arrivato con un mese di ritardo facendo figli e figliastri – risulta infatti valido solamente per le lavoratrici a tempo indeterminato con almeno due figli. Ora rischia anche di essere mangiato dalle tasse e di compromettere l’assegno unico e altri benefici. Oltre al danno, la beffa.
La beffa del bonus mamme
Avrebbe dovuto essere un aiuto alle madri lavoratrici, per dimostrare che figli e occupazione femminile possono convivere insieme. Invece, donne e famiglie dovranno fare bene i conti. Da pochi giorni infatti hanno scoperto che il “bonus mamme”, introdotto quest’anno, vale molto meno di quanto sbandierato dal governo Meloni. Gli attesi 250 euro mensili in più sono in realtà un mero valore massimo. Che dipende dal livello di retribuzione e che quindi avvantaggia maggiormente i redditi medio-alti.
Secondo le simulazioni condotte dalla Fisac Cgil, una lavoratrice con figli che abbia un lordo mensile di 2mila euro avrà un esonero contributivo di 64 euro. La sua retribuzione netta però aumenterà solo di 49 euro perché ce ne sono 15 in più di Irpef da pagare. Se il reddito lordo è di 3mila euro, invece, lo sgravio contributivo sarà massimo e pari a 250 euro. Ma la retribuzione netta aumenterà di 163 euro.
L’analisi ha dunque rivelato che il taglio dei contributi previsto da questa misura non si traduce direttamente in un aumento proporzionale della retribuzione netta. Questo perché la diminuzione dei contributi previdenziali fa aumentare il reddito imponibile fiscale, e di conseguenza l’Irpef da pagare.
La delusione non finisce qui. Al crescere del reddito lordo infatti aumenta anche l’Isee. Oltre a maggiori tasse da pagare nell’anno successivo, ciò potrebbe comportare anche una riduzione dell’assegno unico per i figli e la perdita di altri benefici, come sussidi per l’asilo o agevolazioni sulle bollette.
Il tempo dei bonus è finito?
Il bonus mamme, in quanto tale, è temporaneo per definizione. E per molti non c’è più tempo per i bonus. Tra questi anche Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, che ritiene necessaria e di estrema urgenza una riforma fiscale strutturale.
“Il sostegno per le mamme lavoratrici dimostra che questi bonus vengono fatti senza una reale pianificazione e senza calcolare le loro conseguenze”, commenta De Paolo. “I bonus non fanno ripartire la natalità”. L’Italia continua infatti a essere il paese con i dati più allarmanti d’Europa, sia per nascite che per occupazione femminile. Con quest’ultima che si ferma al 55%, contro il quasi 70% della media europea.
Lavoro femminile e natalità risultano collegati in un circolo vizioso da cui è difficile uscire senza interventi mirati e stabili sul lungo termine. Insomma, gelati e mimose a parte, anche per questo 8 marzo c’è ancora molta strada da fare per le donne in Italia.