Una promessa elettorale spesso si trasforma in promessa da marinaio dopo le elezioni. Ma se poi si avvera? Non sembra questo il caso della ormai famigerata flat tax. Ma prendiamo per un istante il caso – remoto – che il punto in programma venga realmente realizzato così come lo ipotizza un – invece probabile – governo guidato da Giorgia Meloni. Ebbene, quella flat tax sarebbe del tutto inapplicabile. Andando oltre le criticità di sostenibilità e di costituzionalità, sull’imposta si solleva un’altra questione ben più materiale. La “tassa piatta“, così come pensata da Fratelli d’Italia, è semplice da eludere.
La flat tax di Fdi è la più contraddittoria
Il cavallo di battaglia del centrodestra nel programma per il 25 settembre, è la “flat tax incrementale”. Il centrodestra, stando al documento, ha quindi deciso di far propria la proposta di Fdi. La più critica. Ci sono in realtà tre flat tax: una per ogni partito della coalizione. Quella di Fratelli d’Italia è la proposta più recente e che si propone come punto d’incontro tra Forza Italia – al 23% per tutti i redditi; con un costo stimato dal Sole 24 ore intorno ai 30 miliardi – e quella della Lega – stessa impostazione ma con importo al 15%; se dovesse diventare realtà, il suo costo si aggirerebbe attorno ai 50 miliardi.
Giorgia Meloni propone di applicare la flat tax solo alla parte di reddito eccedente rispetto a quanto dichiarato l’anno precedente. Ne consegue, quindi, che si tratti della proposta economicamente meno pesante delle tre della coalizione. Ma gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, dalle colonne de La Repubblica, l’hanno definita “la proposta più balzana delle tre”. La flat tax incrementale di Fratelli d’Italia è molto diversa da quella degli alleati. Forse proprio per evitare di essere troppo costosa, applica l’aliquota fissa del 15 percento non già a tutto il reddito (al netto della deduzione fissa), ma solo al reddito eccedente quanto guadagnato l’anno precedente.
Le criticità principali
Questa versione della flat tax, al contrario di quella di Salvini e Berlusconi, è dunque certamente incostituzionale, perché viola il principio di equità orizzontale; due individui identici con lo stesso reddito pagheranno un’Irpef diversa se diverso è l’incremento rispetto all’anno precedente.
“Ma l’incostituzionalità è l’ultimo dei problemi di questa proposta, tanto è astrusa” proseguono Boeri e Perotti. Per i due economisti infatti, una flat tax incrementale penalizza chi sta subendo perdite di reddito rispetto a chi è in fase di reddito ascendente. Dal punto di vista economico, la flat tax incrementale fa esattamente il contrario del principio di progressività.
Facile da eludere
Se interpretata letteralmente, la proposta si presta anche a una grande varietà di “giochini“. Per cominciare, crea molta confusione sul sistema tributario. Di fatto c’è il concreto rischio di aumentare il numero di aliquote dell’Irpef. Dalle attuali cinque, potrebbero diventare potenzialmente infinite: una per ogni reddito di partenza e per ogni ammontare di incremento del reddito.
Non è chiaro poi se un aumento di reddito oggi verrà tassato al 15 percento per sempre, o solo per quest’anno. Nel primo caso, conviene chiedere una riduzione di stipendio della cifra massima che un contribuente può permettersi; per poi recuperarla l’anno successivo. Da quel punto in poi quella parte dello stipendio sarà sempre tassata al 15 percento.
Addirittura, per chi ha risparmi da parte, converrebbe prendere un anno sabbatico in cui guadagnare zero. Per poi riprendere a lavorare: da quel momento la tassazione sarebbe sempre 15 percento su tutto il reddito; anche di chi guadagna milioni. Se invece l’aumento di reddito è tassato al 15 percento per un solo anno, questo è chiaramente un incentivo a concentrare gli aumenti di retribuzione nel tempo, per esempio ogni tre anni. Con enormi effetti distorsivi sulla vita delle aziende e dei lavoratori, e sulle contrattazioni salariali.