Perché questo articolo potrebbe interessarti? È arrivata la bocciatura della Bce per la tassa sugli extraprofitti delle banche proposta dal governo Meloni. Nel mirino di Bruxelles sarebbero finite le modalità dell’imposta. Che in altri Paesi europei, come la Spagna, è già attiva da mesi.
La Bce ha bocciato la tassa sugli extraprofitti delle banche elaborata lo scorso agosto dal governo Meloni. Dopo aver analizzato la proposta, da Francoforte sono stati chiari, chiedendo all’esecutivo italiano un’analisi approfondita sulle potenziali conseguenze che questa mossa potrebbe avere per il settore bancario.
Nell’opinione di Christine Lagarde, presidente della Bce, in risposta alla richiesta del ministero dell’Economia dell’11 agosto, si rilevano almeno tre ipotetiche criticità. Nello specifico, la Bce ha acceso i riflettori su rischi “per la stabilità finanziaria“, per eventuali “distorsioni del mercato” e pesino di “compromissione della capacità di tenuta del settore bancario“.
Un disastro, insomma, che potrebbe generare un effetto domino tanto per gli istituti bancari, principalmente i più piccoli, quanto per il sistema economico italiano. A guardare cosa succede in altri Paesi dell‘Europa, tuttavia, viene da chiedersi per quale motivo alla banca centrale degli Stati membri dell’Unione europea non piacca la tassa italiana. La risposta starebbe nelle modalità d’attuazione dell’imposta stessa.
“Il governo spagnolo si è mosso per primo in Europa, e con questa “tassa sulle banche” spera di raccogliere 3 miliardi di euro entro il 2024”, ha spiegato True-news.it Luis Iglesias, consulente economico spagnolo che ha seguito la questione, parlando della Spagna.
La bocciatura della Bce della proposta sugli extraprofitti
Nel mirino della Bce sono finite le modalità di attuazione della cosiddetta tassa sugli extraprofitti alle banche. “Non va usata per risanare il bilancio”, ha infatti scritto l’istituto nel parere sull’imposta, e va usata “con cautela” per evitare che impatti sulla qualità creditizia degli istituti.
In precedenza già l’Abi, l’Associazione italiana bancaria, aveva bocciato l’imposta straordinaria sugli enti creditizi: “Solleva dubbi di compatibilità con i precetti costituzionali”. Nonostante la tempesta, la maggioranza, in primis Giorgia Meloni, rivendica la tassa e pare intenzionata a portarla avanti.
Nello specifico, la Bce ha rilevato molteplici punti critici nell’imposta made in Italy. Innanzitutto, limitare la capacità degli enti creditizi di mantenere posizioni patrimoniali adeguate potrebbe “mettere a repentaglio una regolare trasmissione delle misure di politica monetaria“. E ancora: essendo una una tantum bisognerebbe “evitarne l’uso a fini generali di risanamento di bilancio”.
Come se non bastasse, una tassa del genere potrebbe rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario. Il governo, tuttavia, va avanti per la sua strada. Il decreto sta per sbarcare in Parlamento, dove potrebbero (e dovrebbero) esserci alcuni aggiustamenti.
Come funziona la tassa spagnola
Meloni ha sottolineato che la tassa in questione, che “non ha un intento punitivo”, potrebbe fruttare poco meno di tre miliardi di euro. In Spagna, da un anno, c’è qualcosa di molto simile all’imposta straordinaria italiana che tanto sta facendo discutere.
La situazione di enorme escalation dei prezzi, derivante in parte da problemi di approvvigionamento generati dalla pandemia e in parte dalla guerra in Ucraina, ha generato un aumento significativo della spesa pubblica per alleviare, per quanto possibile, gli effetti sulla società. “Sulla base di queste argomentazioni, il 27 dicembre 2022 è stata approvata la legge 38/2022 che istituisce, con validità biennale, varie imposte. Compresa l’Imposta temporanea sugli istituti di credito e sugli istituti di credito finanziario”, ha aggiunto Iglesias.
Ma come funziona la tassa spagnola? “L’importo del beneficio da erogare è calcolato applicando il 4,8% al margine degli interessi e delle commissioni ottenuti nell’anno precedente dagli istituti di credito finanziario operanti sul territorio spagnolo e che durante l’esercizio 2019 abbiano ottenuto proventi da interessi e commissioni superiori a 800 milioni di euro”, ha proseguito l’esperto.
La prima rata è stata pagata a febbraio e il governo ha raccolto dalle banche 637,1 milioni di euro. CaixaBank, il più grande istituto di credito spagnolo per depositi, ha fatto sapere che l’imposta è costata 373 milioni di euro, il 44% dell’utile netto di 855 milioni di euro registrato nel primo trimestre. Al Banco Santander la prima tranche è costata quasi il 10% dei profitti del primo trimestre. In questo caso, semaforo verde da parte della Bce.