Home Economy Il Far West degli influencer: il 97% fa pubblicità, ma solo il 20% lo dichiara. IL REPORT UE

Il Far West degli influencer: il 97% fa pubblicità, ma solo il 20% lo dichiara. IL REPORT UE

Il Far West degli influencer: il 97% fa pubblicità, ma solo il 20% lo dichiara. IL REPORT UE

Perchè leggere questo articolo? Il pandoro-gate di Chiara Ferragni ha spinto l’UE a fare luce su quello che è un vero e proprio Far West degli influencer. Uno su cinque non rispetta la legge, occultando la pubblicità nelle proprie pubblicazioni. L’indagine della Commissione europea boccia i creators digitali in trasparenza delle comunicazioni commerciali. In arrivo nuove e ulteriori strette. 

Influencer fuori legge. Dopo il caso del pandoro-gate di Chiara Ferragni, l’Unione europea vuole vederci chiaro sul Far West delle star dei social che usano la popolarità per fare pubblicità occulta online. L’obiettivo è la verifica del rispetto della normativa di settore e degli obblighi di trasparenza previsti a tutela dei consumatori. E quello che è emerso dall’indagine è che la Blonde Salad non è sola. Il 97% dei creatori digitali infatti pubblica contenuti promozionali, ma solo il 20% lo dichiara come sarebbe giusto e doveroso fare. Da Instagram a Youtube, dall’Italia all’Islanda, sono stati individuati 119 profili al limite della legalità.

L’indagine dell’UE: solo un creator su cinque rispetta la legge

Arrivano da Bruxelles i dati sulle pubblicità degli influencer. L’indagine condotta dalla Commissione europea e dalle autorità nazionali per la protezione dei consumatori  fotografa un problema abbastanza serio. La normativa UE – con la direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno – obbliga a segnalare le sponsorizzazioni. Eppure, solo un influencer su cinque esplicita che dietro alle sue pubblicazioni si nasconde, in realtà, una pubblicità. Su 576 profili sotto la lente d’ingrandimento, solo il 20% ha indicato sistematicamente la natura promozionale dei contenuti postati.

Lo screening, a cui hanno partecipato 22 Paesi Ue – oltre a Norvegia e Islanda – ha portato a galla anche altri risultati. Il 38% del campione non ha utilizzato gli strumenti previsti dai social per rivelare i contenuti pubblicitari. Come la levetta “partnership a pagamento” su Instagram o il badge “Includi promozioni a pagamento” di YouTube. Molti hanno optato invece per diciture diverse: il 16% ha usato “collaborazione”, il 15% “partnership” e l’11% ringraziamenti generici al marchio sponsorizzato. Inoltre, sebbene il 78% degli influencer verificati eserciti un’attività commerciale, meno della metà (36%) è registrato come venditore a livello nazionale. Il 40% dei creators ha promosso i propri prodotti, servizi o marchi, ma il 60% di questi non ha divulgato in modo coerente la pubblicità.

Nuove strette sugli influencer

A seguito dei dati emersi, 358 imprenditori dei social network saranno contattati dalle autorità nazionali per ulteriori indagini. Chiedendo formalmente loro il rispetto della normativa sui contenuti sponsorizzati. “Dove opportuno saranno adottate azioni esecutive – si legge nel documento. Se necessario verranno adottate ulteriori misure coercitive conformi alle procedure nazionali”. Centinaia di creator online potrebbero dunque rischiare multe, come quella che AgCom e Antitrust hanno comminato a Chiara Ferragni.  Inoltre, la Commissione europea valuterà se procedere anche ai sensi degli obblighi legali previsti dal Digital Services Act (DSA), la misura che entrerà in vigore il 17 febbraio per rendere le piattaforme online più sicure, affidabili e credibili.

Proprio nell’ottica di una maggiore trasparenza sui social, i risultati dell’indagine confluiranno anche nel Digital fairness fitness check (verifica dell’adeguatezza del diritto dei consumatori dell’UE), lanciato nella primavera del 2022 dalla Commissione europea. Lo scopo di questa verifica è valutare i problemi che i consumatori incontrano nei mercati digitali. Il Fitness Check infatti analizza la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, quella sui diritti dei consumatori e sulle clausole contrattuali abusive. Esaminandone l’adeguatezza nell’affrontare questioni relative alla protezione dei dati online, tra cui pratiche di personalizzazione, influencer marketing, e la commercializzazione o l’uso di prodotti digitali che creano dipendenza. Sul Far West degli influencer si sta abbattendo la legge dello sceriffo Ue.

LEGGI QUI L’INDAGINE UE SUGLI INFLUENCER