“Vogliamo essere pop”. Non ha dubbi Claudio Scardovi, una carriera nel mondo della finanza e fondatore di Hope, la prima Sicaf “benefit”, società a capitale fisso di solito riservata ai grandi investitori che aprirà le porte al risparmio dei piccoli. O, come si dice in gergo, pubblico retail. Per proporre un “capitalismo inclusivo delle famiglie” che guardi al business e alla sostenibilità finanziaria delle operazioni – certo – ma anche a sociale, inclusione, parità di genere, ambiente. L’evoluzione della grande bolla – in senso laico – delle società benefit che nascono come funghi.
Il private equity per le famiglie? Ecco “l’investainment”
Con Hope (“speranza”) c’è un salto di livello: il private equity arriva alle masse, o almeno questo si augurano gli uomini e le donne che hanno lanciato l’iniziativa e che siedono nel board come consiglieri indipendenti: dall’economista di fama Lucrezia Reichlin al Prorettore degli Affari Interazionale dell’Università Bocconi di Milano, Stefano Caselli. Ma per “essere pop” nel “comitato di sostenibilità” siedono figure note alle cronache non finanziarie come l’atleta Larissa Iapichino, la modella Bali Lawal e l’attrice Cristiana Capotondi. Perché? “Perché si parla tanto dio Next Generation EU ma poi i soldi vengono sempre gestiti da 60-70enni” dice a Repubblica Claudio Scardovi, già manager o consulente in realtà Nomura, Lehman Brothers, Accenture e KPMG, fra le tante. Invece a Hope vogliono che quando si esamina un progetto immobiliare – uno dei focus della società con la rigenerazione urbana – al posto o comunque affiancato al sessanta-settantenne ci sia giovani e uomini del pop-popolo che sappiano dire di che cosa c’è bisogno in una periferia. “Meglio una pista d’atletica o un teatro” si chiede il manager rincarando la dose: “Vogliamo essere pop, parliamo alla pancia del Paese”. Ma, soprattutto, “vogliamo fare ‘investmentainment, ossia investimenti ed entertainment insieme”. Così che le “masse” e la “pancia del Paese” possano “appassionarsi”. Tanto da mettere sul piatto ciò che hanno davvero “in pancia”. Il ricco risparmio privato italiano con i conti correnti imbottiti di decine di miliardi di euro aggiuntivi nell’anno della pandemia.
Dall’editoria al food, tutto è intrattenimento
Se anche la finanza si mette a fare entertainment, inutile ricordare l’esperienza ormai pluriennale di editoria e comunicazione: l’infotainment è stato venduto come la gallina dalle uova d’oro per salvare i media, con il risultato che sia l’intrattenimento che l’informazione sono scaduti di qualità (e con i conti ballerini).
Il nuovo Mercato Centrale Milano
Per non parlare del cibo – pardon – del foodtainment. Viene inaugurato il 2 settembre a Milano il nuovo Mercato Centrale alla stazione della società Mercato Centrale Holding. Quarta città dopo Torino, Roma e Firenze. Già è pronto a diventare l’ennesimo parco giochi milanesi a prezzi non troppo calmierati (o comunque non per tutti) che guarda al futuro con parole del passato che fanno così cool come “bottega”, “artigiano del cibo”. L’offerta sarà ricca e variegata con tributi al mercato ittico meneghino – tra i più riconosciuti a livello europeo e il più grande d’Italia – e una vetrina espositiva affidata alla pescheria Pedol, fiore all’occhiello della tradizione milanese dal 1929, oggi guidata dall’imprenditore Ugo Cosentino. Ma nella pancia della creatura di Umberto Montano – il Mercato Centrale che pre-pandemia faceva 1,2 milioni di utili – troveranno spazio 29 diverse “botteghe” e nomi come il cocktail bar di Flavio Angiolillo, la cui firm enogastronomica è già associata ad alcuni dei locali più noti di Milano, i fratelli Piero e Luca Landi “del pluripremiato ristorante Rendez-Vous di Marciana Marina”, e il re del foodtainment italo-americano: Joe Bastianich. Oltre a decine di altri.
Se l’idea possa davvero funzionare è ancora un mistero. Nell’attesa non pensate agli affari ma all’entertainment.