Nella spasmodica ricerca italiana di fonti alternative rispetto alla Russia per l’approvvigionamento energetico si fa strada un’ipotesi finora inedita: la via che passa per il gas estratto in Iran. A lanciare l’idea è la “Relazione sulle conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina nell’ambito della sicurezza energetica”, stilata il 27 aprile dal COPASIR, il comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica. Ma quante possibilità ci sono effettivamente di utilizzare il gas di Teheran?
COPASIR: “Iran territorio ricco di gas”
Nel documento redatto dalla commissione, che oltre a vigilare sull’operato dell’intelligence fissa anche le linee per garantire la sicurezza nazionale (energetica e non solo), si legge che a fronte delle difficoltà di approvvigionamento da fonti russe – conseguenza della guerra in Ucraina – l’Iran potrebbe “tornare ad essere un partner di primo piano, tenuto conto dell’ampiezza dei giacimenti di gas di cui è ricco il proprio territorio”. La Repubblica islamica potrebbe costituire quindi “un ulteriore sbocco alternativo per il reperimento del gas in sostituzione di quello russo”, prosegue il COPASIR. “Teheran, peraltro, ha espresso il proposito di costruire una flotta di metaniere e navi con la finalità di sviluppare una propria industria del GNL (gas naturale liquefatto, ndr) e quindi anche questa prospettiva potrebbe rappresentare un’opportunità per il mercato italiano” spiega ancora la relazione. Una mossa del genere, secondo il comitato parlamentare, potrebbe anche avere la funzione di rivitalizzare “un rapporto che in passato è già stato sperimentato”.
Sostituire la Russia con l’Iran: difficoltà politiche
La possibilità di sostituire parte del gas russo con quello iraniano – insieme alle nuove forniture che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha cercato di garantire all’Italia con missioni in Angola, Congo e Algeria – presenta non poche difficoltà sul fronte politico. L’Iran è attualmente sotto sanzioni da parte degli Stati Uniti, in misura minore anche da parte dell’Ue. I colloqui per il ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015 – da cui gli Usa sono usciti unilateralmente nel 2018 – sembrano ben lontani da una conclusione positiva. A questo si aggiunge il fatto che, qualora l’Italia decida davvero di guardare a Teheran come fonte alternativa di gas, un’iniziativa simile non lascerebbe indifferenti attori regionali – come Israele – e internazionali, come gli Stati Uniti.
Scita: “Teheran ha del potenziale, ma probabilità basse”
Al netto degli ostacoli politici, però, ci sono difficoltà anche dal punto di vista pratico. “Si tratta probabilmente di una visione eccessivamente ottimistica”, spiega a True News Jacopo Scita, esperto di Iran e ricercatore della Durham University’s School of Government and International Affairs. “Sulla carta l’Iran ha certamente un potenziale come provider di gas, avendo a disposizione le seconde riserve a livello globale dopo la Russia”, spiega lo studioso. “Allo stato attuale, però, se si considera la realtà politica, economica e di capacità produttiva, è difficile vedere nell’Iran un possibile sostituto di breve termine come supplier di gas rispetto alla Russia”, argomenta Scita.
Industria arretrata e tecnologie mancanti
“Il settore del gas iraniano – prosegue – ha due problemi: il primo è che largamente non è ancora sfruttato, a causa dell’arretratezza dell’industria dovuta alle sanzioni, all’impossibilità di attrarre investimenti internazionali e tecnologie innovative ecc. Il classico esempio è quello del South Pars, il più grande giacimento di gas iraniano condiviso col Qatar, per il quale però mancano capitali ed expertise dall’estero in grado di favorirne lo sviluppo. Dopo l’accordo sul nucleare nel 2015 si era formata una joint venture tra la francese Total e Cnpc (China National Petroleum Corporation), ma è andata a monte nel 2018 per timore delle sanzioni Usa”.
Energia assorbita dal mercato interno
“Il secondo motivo – spiega ancora l’esperto – è che in Iran il settore ha una limitatissima spare capacity (capacità di riserva), nel senso che il gas viene usato principalmente per consumo interno, motivo per cui molti analisti pensano che la rimozione delle sanzioni permetterebbe di migliorare anche le possibilità di risparmio energetico e di avanzamento tecnologico per quanto riguarda, banalmente, l’efficienza energetica delle case. La capacità energetica risparmiata, in questo modo, potrebbe essere destinata al mercato internazionale”. L’Iran, come spiega la rivista specialistica AGSIW, esporta volumi significativi di gas in Turchia e Iraq, ma le forniture sono state sempre irregolari a causa della carenza interna.
“A tutto questo si aggiungono gli ostacoli politici, che sono sotto gli occhi di tutti”, puntualizza Scita. “La situazione politica internazionale è assai delicata, rende improbabile un’azione unilaterale da parte dell’Italia come quella suggerita dal COPASIR, che comunque sottolinea giustamente i forti legami commerciali tra Roma e Teheran”, prosegue.
Il contesto internazionale e le incertezze per gli investimenti
“Il possibile ripristino dell’accordo sul nucleare (Jcpoa) è la condizione minima ma non sufficiente per poter considerare il gas iraniano. Perché sì, le sanzioni sono la barriera che blocca gli investimenti e rendono sconveniente esporsi su questo mercato. Ma allo stesso tempo le misure sono anche un deterrente potenziale. Se Biden, ad esempio, rimette in piedi il Jcpoa, non si può escludere che tra due anni le elezioni Usa potrebbe rivincerle Trump, o un altro repubblicano, che magari va nuovamente a rompere l’accordo. Gli investimenti hanno per definizione prospettive di lungo termine, con periodi di esposizione (anche finanziaria) che possono durare anche anni. E’ chiaro che queste incertezze influenzano le scelte di aziende private e pubbliche quando si tratta di investire in Iran. Insomma, anche un ritorno all’accordo sul nucleare non provocherebbe ‘una corsa” al mercato iraniano”, conclude Scita.