Tre mesi per dimezzare le dipendenze energetiche da Mosca, trenta per azzerare ogni legame col gas russo. La road map dettata dal Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani sulla reazione nazionale alla crisi bellica russo-ucraina fissa date e paletti chiari. Ma è davvero sostenibile?
Cingolani nel suo intervento del 7 marzo ha sottolineato che nel contesto attuale il caro-bollette rischia di essere il grande problema politico per Mario Draghi e il suo governo: la bolletta energetica per gli italiani nel 2022 rischia di dilatarsi da 39 a 51 miliardi di euro. E l’Italia importa circa il 43% del proprio gas dalla Federazione Russa.
Italia Paese europeo più affamato di gas russo
L’Ue continua a pagare 700 milioni di euro al giorno alla Russia per le forniture energetiche e l’Italia, assieme alla Germania, è il Paese che maggiormente ha “sete” dell’oro blu di Mosca: la dipendenza italiana è al 43%, quella tedesca al 38% per quanto concerne gli approvvigionamenti energetici dal Paese di Vladimir Putin.
L’Italia consuma 70 miliardi di metri cubi di gas all’anno e ha una capacità di 18 miliardi di metri cubi di stoccaggio, la Russia è al primo posto tra i fornitori e il resto arriva da Algeria (30%), Azerbaigian (10%, col nuovo corridoio Tap), Libia (4,3%), Norvegia, Olanda e Qatar. La produzione nazionale è a poco più di 3 miliardi di metri cubi annui e Draghi e Cingolani vogliono portarla almeno a 6,5 nei prossimi anni.
Azzerare le forniture russe in due anni e mezzo: un piano (molto) ambizioso
Ebbene di fronte a questi dati risulta assai complesso ipotizzare come la quota di fornitura di gas russo, pari a circa 33 miliardi di metri cubi l’anno, possa essere soppiantata in poco tempo, dimezzata nel giro di tre mesi da qui all’estate e azzerata entro due anni e mezzo.
Nell’anno 2019 sono stati importati in totale 71 miliardi di metri cubi di gas naturale, utilizzati in parte per soddisfare i consumi e per il resto accantonati nei siti di stoccaggio. Il 13 per cento delle importazioni totali è dato dal gas naturale liquefatto (Gnl) proveniente da Qatar, Stati Uniti e altri attori. Parliamo di 9,1 miliardi di metri cubi circa a fronte di una capacità di ri-gassificazione complessiva pari a 16 miliardi distribuita nelle province di Rovigo, Livorno e La Spezia, a cui aggiungendo i nuovi terminal di Falconara, Porto Empedocle e Gioia Tauro si raggiungerebbe quota 20 milioni. Ma importare gas naturale liquefatto impone un aumento dei costi dai circa 50 fino a 70 centesimi al metro cubo rispetto alle importazioni via gasdotto. Importare 16 miliardi di metri cubi di gas naturale comporterebbe un extra-costo medio di quasi 5 miliardi di euro per il sistema-Paese.
Vero è, d’altro canto, che un aumento dell’estrazione di 3,5 miliardi di metri cubi consentirebbe di avere questo gas al ben più modico costo di 5 centesimi al metro cubo, per complessivi 175 milioni di euro, con un risparmio di 1,5 miliardi di euro rispetto ad analoghe importazioni dalla Russia.
Abbiamo, dunque, a questo punto, una capacità di ri-gassificazione a pieno regime che porterebbe la dipendenza residua dalla Russia a 26 miliardi di metri cubi, a cui aggiungere i 3,5 di extra-estrazione porterebbe a 22,5 miliardi. Il tutto a un extra costo complessivo di 3,5 miliardi di euro.
Gas, il Tap non può sopperire alla nostra dipendenza da Mosca
Questo solo per ridurre di un terzo la dipendenza dalla Russia. E come ben vediamo si tratta di possibilità infattibili in soli tre mesi. A cui aggiungere le forniture azere del Tap darebbe aiuto, ma sempre su un orizzonte temporale più lungo. Il Tap “è dimensionato per trasportare 10 miliardi di metri cubi, più altri 500 milioni di metri cubi per lo short term”, ha detto a Il Messaggero Luca Schieppati, managing director della società che gestisce il Trans Adriatic Pipeline. Il Tap da 7 potrebbe essere portato a 10 miliardi di metri cubi e, in prospettiva, c’è spazio per raddoppiare la sua portata.
Per realizzare gli investimenti a detta di Schieppati “ci vogliono circa 40 mesi a partire dalla firma dei contratti. Se fosse un raddoppio completo ci vorrebbero oltre 50 mesi”, ben oltre i 30 chiesti da Cingolani. Con una capacità di ri-gassificazione a pieno regime e estesa, l’Italia passerebbe da 9,1 a 20 miliardi di metri cubi di gas ottenibili, aumentando la produzione nazionale arriverebbe da 3 a 6,5 miliardi e con il raddoppio definitivo del Tap su un orizzonte di circa quattro anni in caso di raddoppio salirebbe a 20 miliardi. I 27,5 miliardi di metri cubi annui ottenibili potrebbero essere aggiunti alle altre forniture (Nigeria, Algeria, Turkmenistan) per consolidare il decoupling dalla Russia. Ma questo avrebbe dei costi infrastrutturali, politici e commerciali non calcolabili in una fase di così acuta volatilità dai prezzi dell’oro blu.
La exit strategy in tre mesi di Cingolani è infattibile
La strategia di Cingolani sui tre mesi è assolutamente infattibile: i pozzi non si riattivano dall’oggi al domani e il Gnl va aggredito puntando ai costosi carichi spot che viaggiano per i mari. Quella a due anni e mezzo sconta la dipendenza dalle forniture azere che, come visto, non sono accelerabili in tempi brevi e sicuramente non in un raggio di 30 mesi. Peraltro la primavera è alle porte, gli operatori del settore stanno riempiendo gli stoccaggi (al 38,5%, più pieni della media europea che è del 29,7%) e l’Italia non ha fretta di cambiare drasticamente le rotte delle sue forniture: diversificare si può e si deve, ma cum grano salis. E Cingolani appare troppo precipitoso, ora come ora.