Perché i fondi d’investimento americani hanno messo gli occhi sul calcio italiano? Per quale motivo stanno investendo così tanti soldi in un campionato che, per spettacolo, spessore economico e appeal dei giocatori, è a distanza siderale dalla Premier League inglese, esce sconfitto da un confronto con la Bundesliga tedesca e se la gioca appena con la Liga spagnola? I businessman d’oltreoceano, memori degli anni d’oro del pallone italico, ritengono che una migliore gestione delle finanze dei club nostrani possa, non solo riportare quelle squadre alla gloria, ma spingere l’intero movimento calcistico in un ricco giro di affari.
Sport, la ricetta Usa: marketing ed entertainment
La scommessa è chiara: accanto alle vittorie sul campo e ai trofei in bacheca è necessario far brillare i brand dei club per 365 giorni all’anno. Per farlo, i manager americani sono pronti a portare in Italia il classico modello di business a stelle strisce applicato allo sport, lo stesso che negli Stati Uniti ha trasformato basket, rugby e hockey in autentiche macchine produci soldi. Si seguono poche semplici regole: marketing spinto all’ennesima potenza; connessione tra sport e intrattenimento, inteso come spettacolo da rivendere a tifosi e spettatori, magari grazie a stadi ultra moderni e di proprietà dei club; sfruttamento del brand per incrementare la vendita del merchandising.
Insomma, il sogno dei ricchi uomini americani è quello di trasformare ogni partita di calcio italiano in un’esperienza unica, capace di andare oltre la semplice sfida sul campo. I tifosi più tradizionali ritengono questo modello una specie di male assoluto, lo snaturamento per eccellenza delle tradizioni della propria squadra del cuore. Ma il piatto piange, i conti sono in rosso e sempre più club italiani finiscono nelle mani di potenti fondi stranieri.
Gli Usa e il calcio: il caso Atalanta
Il caso più recente è dato dal passaggio della quota di maggioranza dell’Atalanta dalla famiglia Percassi al fondo di investimento Bain Capital, basato a Boston e ritenuto tra i colossi globali dell’asset management, segna un salto di qualità dell’americanizzazione del mondo italiano del pallone. Business in continua evoluzione e che vede ora passare sotto il controllo statunitense uno degli asset più redditizi e pregiati del campionato italiano, la squadra-rivelazione delle ultime stagioni. L’accordo prevede l’ingresso dei nuovi investitori con una quota complessiva del 55% nel capitale sociale de La Dea srl – la holding detentrice di circa l’86% del club di serie A – mentre i Percassi, gli attuali proprietari, manterranno la quota del 45%. Il sistema misto di gestione ha visto d’accordo Stephen Pagliuca, presidente del fondo che controlla anche i Boston Celtics, e i padroni del club bergamasco: Antonio e Luca Percassi continueranno a ricoprire la carica rispettivamente di presidente e amministratore delegato dell’Atalanta, mentre Stephen Pagliuca verrà nominato co-chairman del club.
I fondi americani sono nel pallone italiano per fare soldi. E l’acquisto dell’Atalanta sdogana definitivamente il modello di valorizzazione seguito dai capitali Usa. L’Atalanta ha sede a Bergamo, città con proiezione turistica, un’economia fiorente e una grande visibilità internazionale, acuita dall’accesso della Dea alla Champions League. Nella più recente classifica Kpmg dei 32 club europei dal valore maggiore ha fatto irruzione proprio l’Atalanta, valutata 364 milioni di euro e capace di realizzare nell’anno della pandemia l’utile più alto dei club europei analizzati, con ben 52 milioni di euro messi a bilancio dalla squadra dei Percassi. Il cui modello di business sportivo è all’insegna del radicamento territoriale attorno alla città di riferimento e della sostenibilità economica e imprenditoriale. I risultati conquistati sul campo e i montepremi accumulati con una squadra in larga misura formata o nel settore giovanile interno o con acquisti a basso costo si sommano alle plusvalenze di mercato che alimentano l’utile di bilancio.
A questa conoscenza Bain non intende rinunciare, acquisendo una quota maggioritaria della Dea ma volendo continuare a gestirla in forma sistemica in continuità con la gestione che l’ha portata nel gotha del calcio italiano. Una strategia articolata e in certi punti diversa da quella graduale di americanizzazione del calcio italiano.
Il Milan in mano al fondo Elliott dal 2018
Il Milan è sicuramente il club più celebre passato in mano americana, dopo che nel 2018 il fondo Elliott di Paul Singer lo ha ottenuto in pegno dal cinese Yonghong Li, e l’entrata del colosso degli hedge fund a stelle e strisce nel club rossonero ha segnato una via ben chiara agli investitori di oltre Atlantico: la Serie A, ricordano, è un mercato potenzialmente in grado di espandersi con gioielli di famiglia valutati in maniera inferiore ad altri club europei, come quelli della Premier League, campionato in cui proprio l’ingresso massiccio di capitali Usa (Manchester United, Liverpool, Arsenal per fare alcuni esempi) ha accelerato l’internazionalizzazione delle proprietà, gli investimenti, la crescita del market pool. Con la stessa logica il fondo Oaktree si prepara ad aspettare un’eventuale tensione nel controllo dell’Inter da parte di Suning.
Per il resto, la maggior parte delle acquisizioni statunitensi si sostanziano su un binario molto simile, con tre elementi-chiave a unire le operazioni: i club acquisiti sono, in larga parte, esponenti di città decisamente visibili sul piano internazionale, afferenti a grandi interessi commerciali, turistici e imprenditoriali e molto spesso squadre in fasi complesse, desiderose di rilancio o di nuova linfa.
Calcio, c’è anche il Canada: Tacopina tra Bologna e Spal
Allargando lo sguardo al Canada, il primo caso di questo tipo è stato nel 2014 il passaggio del Bologna alla cordata formata dall’avvocato Joe Tacopina e dal magnate del caseario canadese Joey Saputo, dal 2015 da solo al timone del club felsineo. Tacopina, di recente, dopo un tentativo infruttuoso di rilevare il Catania (Serie C) ha comprato nell’estate scorsa la Spal, società della città di Ferrara appena retrocessa in Serie B. Nella Lega cadetta, si affianca al Parma di Kyle Krause e al Pisa, sorpresa del campionato, guidato da Alexander Knaster, alla testa del fondo Pamplona Capital Management.
Anche Genoa e Spezia sono diventate a stelle e strisce
Tre piazze pesanti nel centro Italia guardato con attenzione all’estero, a cui si affiancano realtà importanti nella Liguria a vocazione marittima: il Genoa e lo Spezia, nell’ultimo anno, hanno visto la loro proprietà passare dagli storici presidentissimi (Enrico Preziosi e Gabriele Volpi) rispettivamente al fondo 777 Partners e al miliardario Robert Plantek. Mentre il Venezia è tornato in A con al timone della società un finanziere del calibro di Duncan Niederauer, ex partner di Goldman Sachs (2000-2007) e dal 2007 al 2014 amministratore delegato del New York Stock Exchange di Wall Street in uno dei periodi più complicati della sua storia. Per tutti questi investitori, il mantra della valorizzazione degli asset è fondamentale.
Roma e Fiorentina: le scommesse di Friedkin e Commisso
Più complessi, complice il peso delle città e le figure in questione, valutare Roma e Fiorentina: lo scambio tutto americano Pallotta-Friedkin alla guida del club giallorosso si è inserito nel quadro di un tentativo di valorizzare la posizione globale del club principale della Città Eterna. Mentre a Firenze Rocco Commisso è sbarcato portando con sé il peso degli interessi della sua Comcast per il mercato delle telecomunicazioni italiane e dei diritti televisivi del campionato all’estero.
Calcio, gli zii d’America non trascurano nemmeno le serie minori
Nei campionati minori, “zii d’America” di origine italiana sono invece attenti, rispettivamente, a due club di Serie C: la John Aiello Investments è proprietaria del Cesena, mentre nel capoluogo molisano, Campobasso, il NorthSix Group detiene quote di minoranza. Insomma, l’espansione del “partito americano” nel calcio italiano è graduale e inesorabile. E la mossa di un gigante globale come Bain in un investimento strategico come l’Atalanta, “perla” del campionato in termini economici, e l’asse con i Percassi segnalano come i nuovi investitori di oltre Atlantico vogliano capire l’industria-calcio nella sua complessità e nelle sue sfaccettature cercando di valorizzarne, a suo modo, l’italianità. E vanno dunque visti non come un punto d’arrivo ma come uno di partenza della corsa americana al pallone tricolore.
Turismo, business, margini di crescita: l’appeal del calcio italiano
In fin dei conti, il calcio è uno sport globale che sta diventando sempre più popolare, perfino in quei Paesi da sempre poco interessati al pallone, mentre nuove aziende stanno entrando nella battaglia per i diritti dei media. Questo vuol dire che il giro di denaro sarà sempre più alto e che le opportunità di business aumenteranno. L‘Italia, inoltre, è una perfetta meta turistica, una cartolina perfetta per dare slancio al binomio tra turismo e calcio. Pensiamo a città come Firenze, Roma o Venezia, che grazie alla loro fama mondiale possono fungere da trampolino di lancio per squadre competitive in campo internazionale e, allo stesso tempo, generare interessanti profitti.
Gli investitori hanno quindi fatto due conti e capito che le squadre italiane sono molto sottovalutate rispetto ai club di altri campionati. Innanzitutto la Serie A offre ben quattro posti in Champions League, paragonabili a quattro posti in prima fila per un cinema ricchissimo, ossia gli stessi slot di Premier, Bundes e Liga e uno in più della Ligue 1. Come se non bastasse, in Italia il calcio è l’unico sport rilevante, mentre in altri Paesi – pensiamo all’Inghilterra – il pallone deve farsi spazio all’interno dell’opinione pubblica contro competitor del calibro di cricket, tennis e rugby. Infine c’è la storia delle squadre italiane, spendibile per eccellenti campagne di marketing. Se a tutto questo aggiungiamo un calo generale del valore delle squadre (non solo italiane) causato dalla pandemia di Covid-19, ecco spiegato perché i fondi americani hanno scelto di scommettere sul calcio made in Italy.