Perché leggere questo articolo: Perché la partita sui rigassificatori rischia di non risolvere definitivamente la questione energetica. E perchè quella dalla Russia sul gas non è l’unica dipendenza che rischia di strangolare l’Italia.
Negli ultimi mesi l’opinione pubblica italiana ha imparato a conoscere l’importanza strategica dei rigassificatori. Per ridurre la dipendenza dal gas naturale proveniente dalla Russia – fino al 2021 fonte del 40% del nostro oro blu – il governo italiano di Mario Draghi ha avviato la corsa al rilancio della capacità di rigassificazione nazionale; che il nuovo esecutivo di Giorgia Meloni vuole ulteriormente rafforzare.
La battaglia dei rigassificatori
I nuovi rigassificatori serviranno all’Italia per poter aumentare gli acquisti di gas naturale liquefatto da altri paesi, come gli Stati Uniti e il Qatar. E rappresentano indubbiamente un investimento strategico e industriale importante. I due nuovi rigassificatori che l’Italia vuole realizzare, quello di Ravenna e quello assai discusso di Piombino, avranno un presidio nazionale con la proprietà in capo a Snam, partecipata da Cassa Depositi e Prestiti secondo cui le navi gasiere che entreranno in funzione nei prossimi anni aiuteranno, con 8 miliardi di metri cubi ulteriori di capacità, a aumentare del 50% la capacità dei rigassificatori italiani esistenti.
I rigassificatori attualmente attivi in Italia sono tre: uno a terra a Panigaglia (La Spezia) e due in mare, a Livorno, una nave come quelle in via di definizione a Ravenna e Piombino, e a Porto Viro (Rovigo), su un’isola artificiale al largo del delta del Po. Chi sono i proprietari? La situazione è assai frastagliata e vede l’Italia non pienamente padrona di asset tanto determinanti.
Le mani straniere sui rigassificatori italiani
Snam ad oggi detiene il controllo esclusivo, al 100%, su Gnl Italia, la società che gestisce Panigaglia, vicino Porto Venere; detiene il 49,07% di OLT Offshore LNG Toscana, la società del rigassificatore di Livorno, condividendo il controllo con Igneo Infrastructure Partner, fondo britannico di asset management che sfrutta veicoli di investimento specializzati nell’ottenere quote di aziende di servizi pubblici in tutta Europa. Il suo attuale portafoglio comprende utility in Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo, Svezia. Il restante 2,69% del capitale è nelle mani di Golar Lng, azienda bermudiana di infrastrutture per il gas liquefatto. La maggioranza assoluta del capitale.
In mano quasi completamente straniera, invece, il più grande dei rigassificatori italiani, a Porto Viro vicino Rovigo. Snam, infine, possiede il 7,3 per cento di Adriatic LNG, la società che gestisce il rigassificatore di Porto Viro, che è controllata da ExxonMobil, gigante Usa dell’energia che la controlla al 71 per cento, partecipata e da QatarEnergy al 22 per cento.
Insomma, Qatar e Usa controllano una quota fondamentale della capacità di rigassificazione italiana e questo può portare in profondità la loro penetrazione di filiera. Exxon e QatarEnergy sono al contempo due delle compagnie che con maggior interesse mirano a rifornire di prezioso Gnl il mercato italiano, e in questo caso va tenuta in considerazione la possibilità di un’esternalizzazione delle linee guida politiche che condizionano tale mercato.
Qatar e Usa: il mercato del Gnl è poco scalabile
I dati riguardanti il controllo della capacità italiana di rigassificazione parlano chiaro: parliamo di un settore molto meno sbilanciato a favore dei capitali e della partecipazione del nostro Paese rispetto a quello dell’importazione e della lavorazione del gas tradizionale e del petrolio. In cui aziende come Snam, Edison, Saipem, Italgas non si limitano a controllare l’infrastruttura nazionale ma partecipano anche nei lavori fuori dai confini della Penisola. E in cui il mercato vede la presenza di attori come Eni, capaci di condizionare il mercato direttamente con la propria proiezione.
Eni, in quest’ottica, ha un piede a terra nel mercato del Gnl in Qatar. Il Qatar è attualmente pronto per iniziare la prima fase del progetto North Field Expansion dopo aver dichiarato alcuni colossi dell’oil and gas occidentali partner chiave del progetto: Shell, ExxonMobil, ConocoPhillips, Eni e TotalEnergies. Lo stesso non si può dire degli esportatori Usa. Le principali aziende americane che esportano Gnl sono Cheniere Energy, Venture Global LNG, Tellurian, Sempra, Freeport LNG e Dominion Energy.
Le mani dei giganti della finanza sul Gnl
Nei loro capitali sociali si trovano grandi nomi del gotha finanziario a stelle e strisce. Due colossi come Vanguard e BlackRock sono i maggiori azionisti di Cheniere (8,3% e 6,8% rispettivamente), Sempra (8,5% e 9,2%) e Dominion (6,8% e 8,6%) e posseggono quote anche in Tellurian (5 e 5,9%), ove il maggior azionista è la società di servizi finanziari State Street Corporation (6,5%). Quest’ultima mantiene quote anche in Sempra (5,5%) e Dominion (5,2%). In Cheniere fa capolino anche Blackstone, quarta azienda per quote col 4,6% delle partecipazioni.
Una serie di controlli incrociati, questa, che rende difficilmente scalabile la presenza nel mercato a stelle e strisce della produzione di Gnl. Producendo un duplice effetto problematico: da un lato, i capitali Usa e del Qatar entrano, assieme ai fondi di matrice anglosassone, nella strategica filiera della rigassificazione. Dall’altro, rendono impenetrabile al controllo straniero e alla presenza decisiva di attori come quelli italiani il campo della produzione di questa materia prima energetica. Definire fonte di indipendenza energetica l’aumento della rigassificazione non è certamente sostenibile dato il contesto problematico del mercato in cui l’Italia è inserita. Il rischio di abbandonare la dipendenza dalla Russia per abbracciarne un’altra, insomma, non è totalmente da escludere. E anzi potrebbe concretizzarsi se ai nuovi rigassificatori di Snam non si aggiungesse una filiera italiana attiva in profondità nei processi di sviluppo del mercato Gnl.