Perché questo articolo potrebbe interessarti? Da qualche mese il granchio blu ha invaso le coste italiane. Questa specie problematica potrebbe tuttavia trasformarsi in una risorsa inaspettata. Nel mondo ci sono infatti diversi Paesi che potrebbero importare i “killer dei mari” per fini culinari. A cominciare dalla Corea del Sud.
La stampa italiana l’ha descritta come un’invasione. Del granchio blu, nome scientifico Callinectes sapidus, si è iniziato a parlare con insistenza a partire dallo scorso agosto. Questo crostaceo dalle chele azzurre, proveniente dalle coste atlantiche del continente americano, ha scatenato il panico.
È infatti particolarmente aggressivo. Divora pesci, cozze e vongole. Provoca danni all’attività dei pescatori e altera l’ecosistema marino dell’Italia. A peggiorare la situazione, c’è un fatto biologico non da poco: il granchio blu si riproduce al ritmo di 2 milioni di uova l’anno per ogni femmina.
Il governo italiano è corso ai riparti stanziando circa 3 milioni di euro per sostenere le cooperative della pesca e tenere sotto controllo la popolazione della bestiola. Dall’altra parte del mondo ci sono però Paesi che, dal punto di vista culinario, convivono felicemente con il “killer dei mari”. La Corea del Sud, ad esempio, lo serve a tavola in gustosi piatti locali. E sarebbe pure ben disposta ad individuare nell’Italia uno dei suoi partner ittici privilegiati.
Sfruttare il granchio blu
I danni provocati dal granchio blu rischiano di essere ingenti. Per attutire il suo impatto, almeno fino a quando non verrà trovata una valida soluzione, potrebbe essere interessante leggere cosa scrivono i giornali sudcoreani. Già, perché a Seoul e dintorni vanno ghiottissimi di crostacei del genere.
Il quotidiano Korea Times, ad esempio, ha scritto che “gli appassionati di granchi in Corea sono in fermento dalla possibilità di gustare i granchi blu importati dall’Italia”. Nel tentativo di mitigarne la minaccia, il governo Meloni ha in effetti promosso una campagna per convincere le persone a mangiarli. Questa notizia ha spinto i coreani, che sono tra i maggiori consumatori di granchi al mondo, a cercare di capire come e se importarli dall’Italia.
Korea Herald sostiene che un importatore di prodotti ittici di Incheon abbia persino bussato alla porta della Camera di commercio italiana per chiedere informazioni sull’importazione del granchio blu italico. Sarebbero addirittura in corso trattative avanzate, con il diretto interessato che prevederebbe l’arrivo dei granchi italiani in Corea entro la fine dell’anno.
Il settore ittico sudcoreano è in fermento, osserva dalla finestra ed è pronto ad intervenire non appena dovesse esserci l’occasione giusta. Ossigeno per i polmoni dell’Italia, dove lo sgradito outsider ha divorato il 90% delle vongole italiane, causando una perdita di oltre 100 milioni di euro, secondo Fedagripesca-Confcooperative.
La Corea del Sud alla finestra
Secondo i dati della Korea Fishery Trade Association, il 97% dei granchi importati in Corea del Sud proviene dalla Cina, mentre il restante 3% dal Pakistan e dalla Tunisia. L’Italia potrebbe trovare spazio? La risposta potrebbe essere affermativa, visto e considerando le tensioni geopolitiche in corso tra Seoul e Pechino, influenzate dal testa a testa tra gli Stati Uniti, partner sudcoreano, e il Dragone.
Ci sono però due nodi da sciogliere non da poco. Il primo, e più importante, è di natura economica. Non è infatti chiaro quanto potrebbero costare gli eventuali granchi blu importati dall’Italia e venduti in Corea del Sud. Da un lato c’è chi ipotizza un costo simile a quello degli analoghi crostacei pakistani e tunisini, e cioè 6,50 dollari al chilogrammo. Dall’altro c’è chi teme costi nettamente più alti e quindi sconvenienti.
“Il costo della manodopera in Italia è almeno il doppio di quello della Tunisia. Inoltre, i granchi avranno bisogno di un processo aggiuntivo una volta arrivati in Corea, rendendo il prezzo meno accessibile per i consumatori,” ha spiegato un importatore ittico sudcoreano al quotidiano Chosun Ilbo. Non bisogna poi dimenticare che i granchi italiani dovranno battere la concorrenza dei crostacei cinesi. “Per battere i granchi provenienti dalla Cina, quelli italiani dovrebbero avere un prezzo compreso tra 700 e 800 won al chilogrammo”, ha affermato un’altra fonte.
L’esempio della Tunisia
L’altro ostacolo di fronte alla trasformazione del granchio blu italiano in una risorsa economica riguarda le caratteristiche del crostaceo. “Il suo gusto corrisponderà a quello degli amati granchi locali”, si chiede ancora il Korea Herald.
Anche se nessuno per adesso è in grado di rispondere alla domanda, pare che i granchi italiani siano in realtà molto simili a quelli autoctoni, ancor più dei loro cugini pakistani e tunisini. C’è un solo avvertimento: il guscio più duro del granchio blu dell’Atlantico lo rende più difficile da mangiare rispetto ai suoi “cugini”. E molte persone, in Corea, sono solite mangiarli con il guscio.
In ogni caso, l’Italia potrebbe dare un’occhiata all’esempio della Tunisia. Nel 2014, Tunisi ha dovuto affrontare una crisi simile a quella italiana. È tuttavia riuscita a trasformare la sfida in un’opportunità esportando, a partire dal 2017, quantità considerevoli di granchio blu in vari Paesi asiatici, tra cui Corea del Sud, Cina, Giappone e Thailandia. Oggi la Tunisia è la seconda fonte di importazione di granchi blu dalla Corea del Sud, dopo la Cina.