Ci sono le “dimissioni volontarie”, da capire come e quanto. E poi ci sono gli esuberi, i licenziamenti, le delocalizzazioni, gli indotti. La discussione sulla “great resignation”, le dimissioni di massa di lavoratori per ragioni economico-culturali che negli Stati Uniti hanno assunto il connotato di una vera e propria battaglia politica, quasi organizzata, per i minimi salariali (alzati in quasi tutti gli Stati federati) fra i working poors, e che nelle ultime settimane hanno fatto gridare anche in Italia, non sono affatto l’unico nodo del mercato del lavoro italiano.
Magneti Marelli: 550 esuberi
A riportare tutti all’ordine ci ha pensato la cronaca: 550 esuberi a giugno in Magneti Marelli su un totale di quasi 8mila occupati in Italia, annunciati la sera del 27 gennaio da fonti sindacali, poi confermate dal gruppo con sede a Corbetta. Tutti da conteggiare fra impiegati, quadri e dirigenti. Un mix fra prepensionamenti (350) e incentivi all’esodo (200) dentro al piano industriale. Che prevede anche più di 70 milioni di euro di investimenti sull’automotive da parte della proprietà giapponese che nel 2019 ha acquistato il gruppo da FCA (oggi Stellatis) ma che fa i conti con i rincari dell’energia e la crisi globale dei chip.
Bosch, via 700 lavoratori nei prossimi cinque anni
Sono invece le “vittime dell’elettrico” i 700 lavoratori che usciranno dalla fabbrica Bosch di Bari nei prossimi cinque anni. Oltre un terzo della forza lavoro dello stabilimento che dal 1999 produce componenti per i motori Diesel ed è il grande sito quelle del gruppo tedesco nella penisola. Le stime dell’azienda dicono che i pezzi e componenti tradizionali caleranno notevolmente di volumi nei prossimi anni fino ad azzerarsi nel 2027 anche alla luce dell’Agenda europea che prevede lo stop alla produzione per quel tipo di motori entro il 2035.
Carrefour, incentivi all’esodo per 719 dipendenti
Dall’Automotive alla grande distribuzione organizzata, la musica è la stessa. Si è raggiunto a metà gennaio l’accordo dentro Carrefour Italia con i sindacati di categoria della Cgil, Cisl e Uil che non si opporranno il piano dopo aver incassato incentivi all’esodo per i dipendenti: 719 in tutto, contro i 769 inizialmente annunciati.
Piano industriale Unicredit: entrano 725 giovani, escono 1.200 lavoratori
Che dire invece del Piano industriale di Unicredit annunciato da meno di 48 ore. L’amministratore delegato della prima banca italiana insieme a Intesa Sanpaolo, Andrea Orcel, ha parlato di 1.200 che se ne andranno (con incentivi e su base volontaria) e 725 giovani che saranno assunti. Rapporto 1 a 2 fra entrate e uscite. Ma l’accordo è stato raggiunto con i sindacati per la gestione del nuovo piano 2022-2024 che sulla carta non prevede una riduzione del personale grazie alla stabilizzazione degli attuali precari. E anche se ancora non si conoscono difficile i dettagli difficile che accedano al “posto fisso” alle condizioni di chi se ne andrà con 20-25 anni di anzianità alle spalle.
Logistica, il braccio di ferro tra TNT-FedEx ed i sindacati
Banche, manifattura, Gdo. E logistica: l’ultimo dell’anno oltre 90 lavoratori a termine e in appalto dell’interporto di Bologna, nel magazzino di TNT-FedEx, sono stati lasciati a casa con un messaggio su whatsapp e i ringraziamenti per il servizio svolto ma l’annuncio chiaro di come la “commessa” della multinazionale americana si fosse chiusa. Nelle stesse settimane il colosso logistico a stelle e strisce chiudeva l’accordo sull’hub di Piacenza, dopo la durissima vertenza con i SI Cobas del 2021. La mediazione si è trovata su qualche decina di facchini internalizzati e spostati da Piacenza a Bologna e tutti gli altri (in totale circa 300 esuberi) a casa con un incentivo fino a 50mila euro mentre i primi che avevano mollato sin dalla primavera scorsa si sono dovuti accontentare di circa 30-35mila euro.
Il “saldo” tra dimissioni volontarie e licenziamenti
Fuori dalla cronaca, le storie raccontano di un trend che comunque esiste soprattutto in alcuni settori: licenziamenti ed esuberi, riorganizzazioni a livello aziendale di sito industriale ma anche di interi gruppi a livello europeo e delle rispettive filiere e indotti. Numeri che vanno letti anche per capire meglio la portata numerica dell’attuale “great resignation” contro i fenomeni opposti o comunque paralleli. Secondo i dati dell’Inps le dimissioni del terzo trimestre in Italia sono state state del 18% più alte dell’equivalente 2019. I licenziamenti economici più bassi del 40%, quelli disciplinari più alti del 70% anche se i numeri andrebbero guardati in cifra assoluta per poterne dare una lettura completa e “pesata”.
Da determinato ad indeterminato: numeri in calo
Banca d’Italia ha elaborato i numeri del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali al 31 ottobre 2021 per le comunicazioni obbligatorie sul mercato del lavoro. Nei primi 10 mesi dell’anno sono state rilevate 777mila cessazioni volontarie di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, 40mila in più rispetto al 2019 e quasi tutte ascrivibili all’industria (36mila) che non nei servizi. Ma i numeri mostrano anche come i lavoratori prendono in considerazione l’ipotesi dimissioni solo di fronte alla prospettiva di un nuovo impiego permanente. Un comportamento che ha raggiunto un picco proprio durante la pandemia e si è assestato nel 2021 su livelli storicamente elevati. Ciò che invece non è stato affatto recuperato rispetto al 2019 sono le trasformazioni da tempo determinato o apprendistato a un tempo indeterminato. I tecnici di via Nazionale mostrano come fra gennaio-ottobre 2019 fossero 564mila i contratti trasformati in permanenti contro i 457mila del 2021.