Perché leggere questo articolo? La nomina del prossimo comandante della Guardia di Finanza è imminente. E dirà molto del sistema di potere dell’era Meloni.
La stagione delle nomine viene e va, ma è sempre intensa: la partita per la Guardia di Finanza è la coda della partita per le partecipate. E Giorgia Meloni e il suo governo sono attesi da una nuova scelta decisiva. In uscita il generale Giuseppe Zafarana, destinato a Eni come prossimo presidente, l’esecutivo deve scegliere il futuro comandante delle Fiamme Gialle.
La Fiamma Tricolore di Fratelli d’Italia, fino ad ora, per scelta stessa della Meloni non ha divampato pienamente nella scelte dei vertici dello Stato. E anche sul fronte del rinnovo del prossimo comandante di Caserma Piave non si potrà fare a meno di assistere a una mediazione tra poteri e pezzi di apparato.
Il ruolo decisivo della Guardia di Finanza
La Guardia di Finanza è la meno visibile ma più strategica delle organizzazioni di pubblica sicurezza. Custodisce un ramificato apparato informativo. Più ancora di Polizia e Carabinieri, è forte di una capacità di analisi dati e investigativa di rango internazionale. Veglia trasversalmente alle attività di strutture strategiche come Inps e Agenzia delle Entrate, al mondo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, al sistema della magistratura e custodisce rapporti privilegiati con i servizi segreti.
Con Gennaro Vecchione, direttore del Dis ai tempi del governo Conte I e II, la Finanza ha addirittura occupato il vertice dei servizi per la prima volta. Luciano Carta, generale della Finanza, dal 2018 al 2020 ha guidato l’Aise, il servizio esterno, ed è stato poi presidente di Leonardo. Giovanni Caravelli, successore di Carta, ha avuto fino a poche settimane fa come vice Luigi Della Volpe, altro big della Finanza vicino a Carta e Zafarana. Il successore di quest’ultimo potrebbe ambire, in prospettiva, alla guida di un servizio nei prossimi anni e alla conquista di un ruolo di rilevanza in una fase in cui, tra caccia ai capitali mafiosi, sanzioni alla Russia e guerra economica il profilo internazionale dell’investigazione a sfondo finanziario si è accentuato.
Meloni e Giorgetti al centro della nomina. Ma non da soli
Nelle prossime settimane Meloni dovrà dunque sciogliere il nodo Finanza assieme a Giancarlo Giorgetti, titolare del potere di nomina formale in quanto Caserma Piave risponde al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
La nomina vede anche molti altri attori interessati. Primo fra tutti il Quirinale, già pago della moral suasion moderatrice svolta sulle nomine pubbliche. A cui si aggiungono gli alleati internazionali dell’Italia, primi fra tutti gli Stati Uniti e i suoi referenti a Roma. Da non sottovalutare anche il ruolo di consulenza e supporto che potrebbero avere i big della sicurezza politica, strategica ed economica.
Nel governo, Guido Crosetto e Alfredo Mantovano, titolare della delega ai servizi. Fuori, Giulio Tremonti, che di strutture del potere si intende, e Paolo Savona, titolare della Consob e studioso attendo di quell’intelligence economica divenuta oggi fondamentale.
De Gennaro, Sirico, Carbone: tre uomini per la Finanza
I candidati alla successione di Zafarana sono investigatori e direttori locali della Finanza stimati e ritenuti di profilo notevole. Tanto che la scelta oggi appare condizionata dalla necessità di non voler sguarnire determinati reparti ove i papabili stanno ben performando. Il favorito secondo molti rumors appare Andrea De Gennaro, fratello dell’ex comandante della Polizia Gianni, generale molto stimato in ambito americano e dalle parti del Quirinale. Domani riporta invece che Giorgetti vorrebbe portare al vertice di Caserma Piave Umberto Sirico, comandante dei reparti speciali distintisi nell’era Covid. Protagonista di inchieste su malversazioni, frodi e problemi economici connessi alla pandemia, da molti Sirico è ritenuto però difficilmente sostituibile nel suo ruolo.
Per evitare un derby o una scelta che faccia uscire uno dei due favoriti per la guida della Finanza come vincitore e l’altro sconfitto, potrebbe essere porporato un cardinale di compromesso. Una figura che nelle scorse settimane molti tenevano in grande conto era quella di Michele Carbone. Generale nativo di Barletta, 61 anni, Carbone è oggi comandante interregionale dell’Italia meridionale della Guardia di Finanza. In passato ha servito come Comandante della Scuola Ispettori e Sovrintendenti dell’Aquila, ha costruito ottime credenziali internazionali e secondo i ben informati potrebbe garantire il giusto mix tra esperienza operativa e conoscenza del sistema globale. Tutto è nelle mani di Meloni, che avrà l’ultima parola. E una volta di più constatiamo che sarà un ragionamento operativo e di convenienza, più che mere logiche politiche, a fare la differenza. Sulle nomine chiave dello Stato, colore del governo a parte, non può che esser così.