Esistono da tempo ma la pandemia e la necessità dello smart working hanno dato una spinta alla loro diffusione: li chiamano “software di monitoraggio dei dipendenti” e sono programmini pensati per, appunto, controllare che i lavoratori facciano il loro dovere. Installati direttamente sui dispotivi dei dipendenti, registrano la cronologia degli utenti, l’utilizzo delle app ma anche il monitoraggio in tempo reale di quello che stanno scrivendo – o dei movimenti del loro mouse. ActivTrak, Controllo, e CleverControl… Non tutti questi prodotti sembrano usciti da distopie fantascientifiche: alcuni di loro hanno la funzione di elencare le varie task di un dato dipendente o una squadra, aggiornandone lo status.
Ma è ovvio che il pericolo della deriva orwelliana sia dietro l’angolo, come dimostra TSheets, programmino da installare sul telefono dei dipendenti per poterne rintracciare le coordinate GPS, come fosse un ordine Amazon. Oppure quelli che ogni dieci minuti scattano la foto dalla webcam, per verificare che la persona controllata non stia bighellonando. Secondo una sentenza della Cassazione del 2018, le aziende hanno il diritto di installare questo tipo di programmi se “le verifiche effettuate tramite il tracciamento informatico sono dirette ad accertare comportamenti illeciti del dipendente che riverberino un effetto lesivo sul patrimonio aziendale e sull’immagine dell’impresa”. Il problema, tra gli altri, è che questi programmi sono nati per essere usati all’interno degli uffici e delle sedi fisiche. Che succede quando l’ufficio sparisce e il controllo arriva fino alle mura di casa?
Come fare quindi per non trasformare il vostro lavoro in un incubo per la vostra privacy? Innanzitutto, come ha spiegato l’esperta di diritto del lavoro Luisa Zambon all’AGI, bisogna ricordare che non tutti questi programmi sono legali in tutto il mondo, visto le leggi vigenti in Italia o la legislazione dell’Unione Europea, piuttosto attenta a questi temi. È importante tenere conto che lo smart working cambia tutto: essendo costretto a lavorare da casa, un lavoratore ha il dovere di trattare la propria abitazione come tale, e non come l’ufficio di proprietà del datore di lavoro.
Uno scotch sulla webcam? Perché no, anche perché questo genere di monitoraggio non è previsto dalle nostre leggi. Un discorso diverso vale per i computer di proprietà dell’azienda – su cui possono essere caricati alcuni software – e le caselle di posta elettronica aziendali. Questo è il ventre molle della privacy dello “smart worker” e da questo si deve partire per difendersi: usate i vostri dispositivi e sappiate che gli unici “tracker” permessi legalmente sono queli a fini organizzativi.
Se vi fanno le foto, quindi, sappiate difenderti. L’importante è non finire come Homer Simpson in quel vecchio episodio in cui fa scoppiare la centrale nucleare lavorando da casa.