Si riprenderanno già alla fine di quest’anno. Perché sono un’eccellenza italiana che investe in ricerca e sviluppo e hanno alle spalle capitali solidi. Ma i numeri della pandemia per l’industria cosmetica italiana sono da far accapponare la pelle – per ironia del destino. Solo da un’analisi a campione dei bilanci 2020 – ora che sono depositati – di alcuni leader industriali di settore, il “buco” del 2020 è di centinaia di milioni di euro. Realizzati vendendo – o meglio: non vendendo – creme, trucchi, label, profumi, deodoranti, skin care, make up. La lunga sfilza di prodotti made in Italy – quasi sempre come contoterzisti dei grandi brand internazionali – che hanno fatto la ricchezza di quel distretto industriale che da Bergamo si dipana verso Crema, triangolando con Milano: magazzini, hub, centri di ricerca, produzione e direzionali che fungono da panorama della produttiva Pian Padana. È la “make up city” del Nord. Che solo in Lombardia conta oltre 700 imprese cosmetiche (il 55,5% delle 1.300 industrie italiane) e 180mila addetti sui 391mila della penisola.
Cosmetica, il crollo dell’industria sotto Covid
Non hanno dovuto chiudere perché considerati in larga parte settori strategici di primaria importanza. Chi fa cosmesi, del resto, può fare anche igienizzanti. Ma nonostante siano state salvate da Dpcm e codici Ateco, l’elenco delle vittime illustri del Covid è infinito: la Ancorotti Cosmetics di Crema passa da un valore della produzione di 104 milioni a 71,8 e gli utili di bilancio da 6 milioni a un passivo per 3,3.
Cosmetica, la pandemia punisce Bergamo (ancora)
La Art Cosmetics di Fornovo San Giovanni (Bergamo) “brucia” un terzo del fatturato, da 100 a 64 milioni. Utili da 5,7 milioni a meno 3,2. Il valore della produzione crolla del 34,4%, mentre i ricavi da vendite di prestazioni fanno segnare un meno 35%. Si riprenderanno, nonostante l’annata nera e le difficoltà, perché hanno messo sul piatto quasi 1,5 milioni in ricerca e sviluppo di nuove soluzioni tecniche e tecnologiche finalizzate alla realizzazione di nuovi prodotti cosmetici per make-up e skin care non ancora presenti sul mercato. Ma per ora si maledicono le mascherine (a proposito di rossetti) e i lockdown.
BKolormakeup&Skincare: anche le società benefit vanno male
Idem per una realtà apprezzata in bergamasca come la BKolormakeup&Skincare Spa di Treviglio. Si è trasformata in Società Benefit nel frattempo (leggi l’approfondimento di True-News sulle società benefit ) ma l’attenzione all’impronta sociale e ambientale poco conta davanti a commercialisti e revisori contabili: fatturati in calo del 45% sull’Italia e del 40% sull’estero, ricavi da 70 a 40 milioni e utili più che dimezzati da 22,6 a 8,5 milioni – ma almeno la Bkolor può ancora vantare un avanzo di bilancio da reinvestire, accantonare, distribuire fra i soci.
Il caso Intercos e la famiglia Ferrari
Del resto il “botto” più rumoroso lo ha fatto un colosso come Intercos. Con la famiglia Ferrari e il nuovo fondo d’investimento entrato nella proprietà ad assorbire come regalo di Capodanno al 31 dicembre 2020 una riduzione di 50 milioni di euro dei ricavi rispetto ai 292 milioni del 2019. Utili comunque in attivo per 20 milioni di euro, ma con un down del 30% rispetto all’anno precedente. A pesare su queste cifre? Export, incertezza sulla domanda globale e difficoltà di reperimento delle materie prime.
Chromavis, garantisce il Lussemburgo
Male per davvero è andata alla Chromavis Spa. Proprietà lussemburghese del gruppo Fareva, che sotto Covid si fatto garante del supporto finanziario, la società milanese passa dai 114,8 milioni del 2019 a 70 e da 1,5 milioni di avanzo ad un passivo monstre di 20,8 milioni. Calo del fatturato del 39%. Certo, nel 2020 il gruppo ha ultimato il trasferimento nel nuovo stabilimento produttivo progettato nel 2018 ad Offanengo: 100mila metri quadrati. Solo il trasloco nella nuova casa è costato complessivamente 5,5 milioni realizzando una minusvalenza di quasi un milione dalla vendita dei vecchi uffici direzionali di Vaiano Cremasco, mezzo milione di incentivi all’esodo per il personale e oltre tre milioni per lo smantellamento del vecchio sito e degli stock obsoleti. Per il nuovo polo la società controllante Fareva ha messo una fiche da 8 milioni di euro.
Un po’ meglio – per modo di dire – sembra essere andata a qualche vera e propria piccola azienda di settore: la Inca Cosmetics sempre del capoluogo lombardo chiude il 2020 quasi in linea con il 2019: 3,1 milioni di produzione contro i 3,9 dell’anno pre-pandemico ma riducendo addirittura il passivo dell’anno da 1,6 milioni con segno negativo a 449mila euro di perdita. E il 2022 pare promettente con nuove linee di sviluppo nel varesotto (Luino) e poi showroom con laboratorio nel capoluogo lombardo.
Numeri non devono generare il panico su prospettive industriali e occupazione. Il distretto regge, gli investimenti ci sono e c’è chi sostiene, anche fra gli analisti di mercato, che come in seguito a una guerra o a un evento traumatico, la “cura del sé”, l’aspetto fisico, il sentirsi bene ripartirà alla grande. C’è anche chi sta diversificando il business – o aveva già cominciato – acquisendo quote di minoranza in fondi che investono in sanità, diagnostica, catene di farmacie. Buone notizie. Anche se per ora si sentono solo le imprecazioni degli imprenditori (attutite dal filtro di una mascherina che copre la bocca) e pugni di frustrazione che sbattono sul tavolo (rigorosamente con guanti in lattice).