Mentre prosegue l’offensiva russa in Ucraina, l’Europa occidentale resta col fiato sospeso anche per le forniture di gas provenienti da Mosca. Nei giorni scorsi Mario Draghi ha parlato di una possibile riapertura delle centrali a carbone per compensare la riduzione delle forniture di gas russo, che ad oggi rappresenta circa il 45% delle importazioni totali per l’Italia. Una possibilità, quella paventata dal premier italiano, che si porrebbe in netta controtendenza rispetto all’agenda climatica e ambientale per tamponare nell’immediato un’eventuale shock energetico. Il Consiglio dei Ministri, con un decreto che comprende anche l’invio di aiuti militari all’Ucraina, ha dato l’ok alla diversificazione delle fonti energetiche con la possibilità di ricorrere al razionamento del gas. E il governo ha già annunciato lo stato di pre-emergenza.
Nelle scorse settimane Joe Biden aveva provato a giocare di anticipo sulla partita del gas ricevendo alla casa Bianca l’emiro qatariota Al Thani. Nel corso dell’incontro il presidente statunitense ha nominato il Qatar “alleato di primo livello al di fuori della NATO”, definendo la monarchia del Golfo un partner solido e affidabile, e ha cercato di strappare a Doha la promessa di garantire flussi stabili di gas verso l’Europa in caso di tagli nelle forniture russe. Il Qatar è uno dei principali produttori (77,1 milioni tonnellate nel 2021) e esportarti al mondo di LNG (gas naturale liquefatto, il cui trasporto avviene via nave sulle lunghe distanze) e gran parte delle sue esportazioni sono rivolte ai paesi asiatici con contratti di lungo termine.
Secondo quanto dichiarato dallo stesso ministro dell’energia Al Kaabi “non esiste nessun paese in grado di sostituire le forniture russe verso l’Europa, ed è in ogni caso impossibile raggiungere simili volumi con il gas LNG”. Nelle scorse settimane sia Unione Europa che Stati Uniti si sono rivolti anche al Giappone per chiedere un aumento nelle forniture, e Tokyo si è impegnata a inviare dei cargo di LNG verso l’Europa.
Uno dei principali ostacoli nella riconversione delle forniture di gas è dato dalla natura dei contratti, che generalmente hanno una durata che varia dai 10 ai 20 anni. Inoltre, le capacità estrattive e produttive del Qatar sono limitate, e nonostante la volontà di Doha di aumentare da 77 a 126 milioni di tonnellate la propria produzione entro il 2027 non è pensabile che il piccolo paese del Golfo possa da solo compensare la chiusura dei rubinetti russi. Ma, secondo quanto dichiarato dallo stesso Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, uno degli obiettivi dell’Unione Europa nel medio periodo è ridurre la dipendenza da Mosca per gas e petrolio. Se la scelta di riaprire le centrali di carbone può avere senso in una logico di brevissimo periodo, sul lungo termine l’Europa deve trovare un modo di slegarsi da Mosca per le forniture. E Doha può essere una delle tessere del puzzle.
La stessa Arabia Saudita resta alla finestra. Nel 2020 Ryad e Mosca hanno messo in scena un braccio di ferro di diverse settimane per il rifiuto russo di ridurre la produzione di petrolio nel corso dei lockdown generalizzati e nel periodo del crollo dei prezzi. Ryad, che ha un livello di break even (il prezzo a barile necessario a ottenere il pareggio tra costi e ricavi) particolarmente alto (65 $, in calo rispetto al 2021) segue con interesse l’evoluzione della situazione. Le monarchie del Golfo non possono risolvere da sole i problemi europei di fornitura di gas. Ma mentre Mosca annuncia l’apertura del nuovo gasdotto Soyuz Vostok che dalla Mongolia arriverà in Cina, frutto di una partnership tra Gazprom e la cinese Cnpc, per l’Europa è il momento di mettere sul tavolo una strategia di che sia sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello economico. E coerente con le direttrici di politica estera.