Perché leggere questo articolo: Andrea Roventini, economista della Sant’Anna, smorza gli entusiasmi da parte del Governo Meloni per la disoccupazione che ha raggiunto i suoi valori minimi dal 2008. E boccia le politiche sul lavoro della premier
Il governo Meloni ha celebrato, nei giorni scorsi, come un successo, il record di occupazione e il calo della disoccupazione ai minimi del 2008. Certo, come occupati, restiamo terzultimi in Europa ma su lavoro e Pil l’esecutivo vuole mostrare un trend di crescita come punto di partenza per rivendicare il suo buon governo. Chi non condivide appieno questa lettura è l’economista Andrea Roventini. Docente alla Scuola Superiore Sant’Anna, Roventini risponde a True-News.it dal Brasile, dove si trova per un seminario all’Università di Brasilia dedicato alla transizione green. E invita il governo a ridimensionare gli auto-elogi.
Professore, il governo Meloni ha ragione nel rivendicare come un successo il boom occupazionale?
“Il punto da non dimenticare è che i problemi dell’Italia si trascinano almeno da trent’anni e quindi in questo punto di vista nessun successo e nessun fallimento può essere imputato in toto a un singolo governo. Men che meno a uno in carica da meno di un anno che non ha fatto profondi interventi strutturali. Anche l’aumento degli occupati e del Pil non deriva da una particolare politica del governo Meloni, ma nemmeno del precedente governo Draghi. Piuttosto vedo un effetto dei fondi promossi dal Pnrr che sta gradualmente con tutte le difficoltà venendo messo a terra”.
Dunque nessun effetto-Meloni come non c’è stato alcun effetto-Draghi?
“Esatto, e basta un dato a confermarlo. Il Pil italiano è ancora inferiore al di sotto del 2008, quando iniziò l’onda lunga degli shock recessivi, al contrario di Francia e Germania. Il resto è un puro dibattito politico sul dire che il governo è bravo o no”.
A prescindere dalla dialettica politica, come giudica l’agenda Meloni sull’economia?
“Certo è che se si misura la politica economica del governo Meloni dall’ottobre 2022 a oggi, quanto promosso basta per dire che è stata disastrosa. Abbiamo una politica economica che in prospettiva sta prendendo decisioni pro-disuguaglianza e anti-crescita. Basti pensare alla riduzione degli sforzi nella lotta alla disuguaglianza e al flop del Decreto Lavoro. Esso, al di là del cuneo fiscale che appare però più un costoso sussidio mascherato alle imprese che mette pochi soldi nelle tasche degli italiani, sembra più in prospettiva un decreto contro il lavoro. Lo confermano le misure che incentivano voucher e contratti a tempo determinato. Il governo non ha nulla di cui vantarsi in tema lavoro”.
Sulle altre misure cosa contesta in particolare?
“Sul capitolo fiscale sono state aggiunte diversi misure come condoni, concordati preventivi e via dicendo che agiscono a favore di possibili evasori. Le riforme come l’ampliamento delle quote forfettarie o l’estensione della cedolare secca sono manovre che avvantaggiano le rendite di posizione del governo nelle sue categorie di riferimento ma aumentano la disuguaglianza. Oppure disincentivano l’accrescimento delle imprese. Poi c’è una tendenza contraria alla transizione green, frenata dal governo Meloni. Dunque contraria al vento della storia. Il governo Meloni fa l’opposto di quanto si dovrebbe fare: invece di diventare un hub per produrre energia rinnovabile per tutta l’Europa sogna di diventare un hub del gas mentre i consumi di questa risorsa sono in calo”.
Come vede invece il capitolo Superbonus?
“Premetto che sul Superbonus ero critico fin dal principio. L’ho sempre ritenuto una misura che aumentava la disuguaglianza e costava moltissimo come piano volto a ottenere la riduzione dell’emissione di gas serra che si voleva conseguire. Data questa premessa, è ovvio che con tutte le sue distorsioni rappresenti una manovra ad effetti keynesiani, per quanto imperfetti, che si riflettono su Pil e occupazione. I bonus trainano l’edilizia, questa traina indotto e tutto si riflette su Pil e mercato del lavoro. Paradossalmente siamo in una situazione in cui il ministro Giorgetti accusa il Superbonus da un lato e rivendica come successi dati che hanno a che fare con crescita e Pil che in parte riflettono gli impatti, innegabili, di questa misura problematica”.
Tutto questo dovrebbe portarci a pensare alla qualità, più che alla quantità della crescita?
“Già. Non cresciamo da trent’anni perché non cresce la produttività, la produttività non cresce perché non stiamo innovando e questo combinato disposto mette sotto stress la capacità del sistema di mantenere il nostro debito pubblico. E il trend rischia di autoalimentarsi”.
Che prospettive vede tra tassi alti, inflazione perdurante, rischio di ritorno del Patto di Stabilità?
“Siamo in un momento rischioso per il Paese e per l’Europa. Ho la sensazione che il governo non abbia chiaramente in mente la gravità di questa situazione: le politiche economiche di cui abbiamo discusso non hanno una visione strutturale. Si tratta un po’ di mance elettorali alle constituencies e ai gruppi di potere che reggono il governo e i consensi dei partiti. Il governo Meloni sembra una versione peggiorata e sciatta del governo Draghi”.
L’avvicinamento alle Europee non aiuta a spingere ad agire con coraggio…
“La necessità dei partiti di difendere i consensi a pochi mesi dalle elezioni europee non aiuta. E del resto, se analizziamo la compagine governativa, c’è una mancanza totale di competenza e conoscenza. Io non sono necessariamente a favore della competenza come valore assoluto, ma se considero tutto l’entourage allargato del governo non vedo delle professionalità capaci di fornire soluzioni a problemi enormi. Parliamo di un governo che vive alla giornata, favorito da una stampa interna favorevole o poco critica e dalla fragilità dell’opposizione”.