Perché questo articolo potrebbe interessarti? Nelle ultime settimane sul fronte europeo si segnalano interessanti novità legate ai chip. L’Italia, intanto, è pronta ad attrarre investimenti interessanti in un settore sempre più strategico.
L’ufficialità è arrivata e il progetto non dovrebbe essere in discussione. Silicon Box, azienda di semiconduttori con sede a Singapore, investirà 3,2 miliardi di euro in un nuovo stabilimento nel nord Italia nell’ambito di un accordo sostenuto dal governo Meloni.
La notizia è particolarmente rilevante, visto che è arrivata in concomitanza con l’inasprimento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina sul fronte dei chip.
Gli Usa stanno infatti facendo pressione sui suoi alleati – Paesi Bassi e Germania in Europa, Corea del Sud e Giappone in Asia – affinché inaspriscano ulteriormente le restrizioni sulle forniture di chip a Pechino.
Il grande gioco dei semiconduttori, dunque, non è più soltanto un braccio di ferro tra Washington e Pechino, ma una partita che si sta spostando nel cuore dell’Europa. Dove anche Roma, come detto, ha buone chance di ritagliarsi un posto non irrilevante in questa partita che deciderà le sorti del pianeta.
Le mosse dell’Italia sui chip
Impossibile, allora, non partire dall’Italia. Dicevamo di Silicon Box. Il sito esatto dove sorgerà l’impianto della startup asiatica deve ancora essere deciso. Roma avrà bisogno anche dell’approvazione della Commissione Europea per gli aiuti finanziari previsti (che il ministero italiano dell’Industria ha detto di aspettarsi di ricevere presto).
Il più sembra fatto. Resta da capire se la mossa porterà i frutti sperati nel medio e lungo periodo, consentendo all’Italia di produrre una quota consistente di semiconduttori. “A pieno regime l’investimento sarà in grado di generare 1.600 nuovi posti di lavoro diretti, oltre ai posti di lavoro indiretti generati sia per la costruzione della struttura che nel più ampio ecosistema di approvvigionamento e logistica coinvolto”, ha fatto sapere il citato ministero.
Il costo dell’operazione si aggirerà intorno ai 4 miliardi di euro che verranno spalmati su 15 anni. In ogni caso, Silicon Box produrrà in Italia i cosiddetti “chiplet”, minuscoli circuiti integrati che possono avere le dimensioni di un granello di sabbia.
Per la cronaca, i chiplet vengono riuniti in un processo di packaging avanzato, che consente di legare tra loro piccoli semiconduttori per formare un processore capace di alimentare qualsiasi cosa, dagli elettrodomestici ai data center.
Il progetto in questione, come detto, fa parte degli sforzi italiani volti ad attrarre investimenti da parte di aziende tecnologiche. Intel, ad esempio, sembrava che potesse costruire in Italia una fabbrica avanzata di imballaggio e assemblaggio di chip. Il colosso americano, alla fine, ha rinunciato ai suoi piani italiani preferendo concentrarsi su altri dossier che coinvolgono la Germania. Roma resta comunque alla finestra in vista di nuove occasioni.
Cosa succede in Europa
E in Europa? Attenzione alle mosse degli Stati Uniti. L’amministrazione Biden intende colmare le lacune nei controlli sulle esportazioni imposti negli ultimi due anni per frenare i progressi della Cina nello sviluppo di capacità di chip autoctoni.
Washington si è intanto fatta sentire con i Paesi Bassi, chiedendo all’Aia di impedire ad ASML Holding di fornire assistenza e riparare apparecchiature sensibili per la produzione di chip acquistate in passato da Pechino. Ricordiamo che l’azienda olandese è specializzata nello sviluppo e nella produzione di macchine per fotolitografia utilizzate per produrre chip per computer.
Gli Usa hanno inoltre chiesto alla Germania di frenare Carl Zeiss, produttore di vetro tedesco specializzato che fornisce alla stessa ASML i componenti ottici necessari per la produzione avanzata di chip. L’amministrazione Biden vorrebbe che Berlino convincesse Zeiss a ritirarsi dalla spedizione di tali componenti in Cina.
La risposta dei diretti interessati ai suggerimenti statunitensi è stata particolarmente fredda. Sia l’Olanda che la Germania intendono prima valutare l’impatto delle richieste Usa per poi, eventualmente, prendere in considerazione misure più severe.
Nel frattempo la Germania continua a lavorare per attrarre produttori di semiconduttori e chip per computer. La taiwanese TSMC – più grande produttore di chip a contratto del mondo – lo scorso agosto ha approvato un piano da 3,5 miliardi di euro per costruire una fabbrica a Dresda.
L’impianto, la cui apertura è prevista per il 2027, avrà una capacità di produzione pari a 40.000 wafer da 300 millimetri al mese. Berlino non si accontenta ed è pronta ad ospitare ulteriori player. Il prossimo potrebbe essere Intel, con buona pace di Roma.