“Fino ad ora siamo riusciti a fare eventi, adesso che la situazione sta diventando più critica piano piano stanno annullando tutto” racconta Guido, un lavoratore del settore. Per Federico invece si “rimbalza da un colloquio all’altro per uno stage che non parte mai a causa della pandemia”. “Sto cercando anche lavori che non hanno nulla a che fare con il mio percorso di studi ma è tutto fermo”. “Lavoro fino a sabato, poi torno in cassa integrazione” dice Alberto, da dieci anni cameriere a Milano. È rientrato in servizio dopo il primo “round” primaverile-estivo di cassa integrazione soltanto due settimane fa. “Non ho ancora ricevuto quella di maggio – aggiunge un collega del settore ristorazione – ma anche se lavoro da tanto e ho 31 anni questo non è affatto un buon momento per prendere alcun tipo di decisione sulla mia vita, visto che fra due settimane probabilmente chiudono tutto”. Il suo bilancio del 2020? “Pensavo a febbraio di aver trovato la quadra”. Inutile dire che ora non è così.
La Milano che attende il (secondo) lockdown ha già le sue prime vittime. Almeno nel mondo del lavoro. Nel commercio – certo –, con i commessi stritolati fra calo della clientela, incertezza su chiusure e aperture dei punti vendita, part time involontari e offerte di lavoro che spesso non superano gli importi della disoccupazione. Come nei ristoranti. Colpisce i lavoratori che con il blocco dei licenziamenti non ci fanno nulla: 110mila i posti di lavoro persi in Lombardia solo nei primi 6 mesi del 2020 a causa dell’effetto Covid-19, con un calo del numero di occupati in regione pari al 2,4 per cento. Una diminuzione che non si verificava dal 2009. Numeri contenuti nella ricerca commissionata dalla Cisl Lombardia “La struttura produttiva e il mercato del lavoro in Lombardia. Una fotografia del presente e le dinamiche negli anni della crisi (2009-2019)” sulla base di dati Istat e Unioncamere. Il crollo dell’occupazione è da imputarsi – appunto – a terziario e servizi. Settori dove nel quinquennio 2015-2019 si sono concretizzati il 73 per cento degli avviamenti al lavoro. Come? Con forme di contratti flessibili: tre lavoratori su quattro nello stesso periodo hanno trovato posto per il 51,5 per cento a tempo determinato, il 15,2 per cento in somministrazione con agenzie interinali, il 3,2 per cento con contratti a progetto, il 3,3 per cento in apprendistato.
Ma per chi ha trent’anni la crisi, economica e organizzativa, colpisce anche dove meno ce lo si aspetta. Migliaia di praticanti avvocati degli studi legali attendono il 15-16-17 dicembre. Dovranno recarsi in fiera per svolgere le prove scritte dell’Esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione forense. Tappa iniziatica fondamentale per la professione. Migliaia di banchi, ravvicinati fra loro, per sette ore al giorno, per tre giorni consecutivi. La prova si svolge una sola volta all’anno. Con tempi di correzione – anche per questo motivo – lunghissimi. Chi salta il turno deve aspettare l’anno successivo dopo aver giù studiato per almeno cinque anni Giurisprudenza e aver svolto il praticantato, poco o per nulla retribuito, per altri 18 mesi. “Gli inevitabili assembramenti che si verificheranno nei padiglioni – ha detto l’onorevole Cosimo Ferri in un’interrogazione al Ministro della Giustizia – rischiano di causare una crescita dei contagi” e “ad oggi, migliaia di candidati che si troveranno ad affrontare l’esame non hanno ancora certezze in merito alle modalità di svolgimento”. Parafrasando: l’incertezza del diritto.