Perché questo articolo potrebbe interessarti? Le esportazioni italiane verso la Cina sono triplicate in poco più di un anno. Gli esperti faticano a spiegarne il motivo. Tra le tante ipotesi sul tavolo la richiesta di un farmaco italiano apprezzato oltre la Muraglia.
Lo scorso febbraio, le esportazioni italiane verso la Cina hanno raggiunto il record mensile di 3 miliardi di euro (3,3 miliardi di dollari). Calcolatrice alla mano, c’è stato un aumento del +131,4% rispetto all’anno precedente, nonché un balzo del +137% registrato al mese precedente. Giusto per fare un confronto, nel gennaio 2022 l’Italia ha esportato circa 1 miliardo di euro di beni e servizi verso la seconda economia mondiale.
Come ha sottolineato Bloomberg, un tale boom sarebbe difficile da spiegare in circostanze normali. Figurarsi adesso, con la guerra in Ucraina in corso e i conseguenti sconvolgimenti della catena di approvvigionamento globale a distorcere i flussi commerciali. Il mistero, insomma, ha fatto il giro del mondo.
Il boom delle esportazioni italiane in Cina
Chi o che cosa ha alimentato un simile giro d’affari diretto dall’ombra del Colosseo ad oltre la Muraglia? C’è chi ha parlato della possibilità che l’aumento dell’export sia frutto di una sorta di triangolazione con Pechino per continuare a commerciare con la Russia sotto sanzioni (ipotesi pressoché impossibile, considerando la mole in campo). E chi, in maniera nettamente più plausibile, ha concentrato l’attenzione su un particolare farmaco apprezzato dal popolo cinese.
Insomma, una causa alla base di questo miracolo deve esserci per forza. Anche perché l’Italia è sì l’unico Paese membro del G7 ad aver aderito alla Nuova Via della Seta, ma i benefici economici dell’accordo per Roma sono fin qui stati limitati.
Dal punto di vista politico, i rapporti sino-italiani si erano raffreddati con il governo di Mario Draghi, mentre Giorgia Meloni potrebbe non rinnovare l’accordo relativo alla citata Belt and Road. Se le ragioni non sono geopolitiche né politiche, la spiegazione non può che stare nei dati commerciali. E infatti, a ben vedere, il cuore del boom dell’export nostrano coincide con il settore farmaceutico.
Il farmaco che piace a Pechino
La voce da considerare è la seguente: “medicinali costituiti da prodotti miscelati o non miscelati per usi terapeutici o profilattici, presentati in dosi dosate”. Le esportazioni di questi prodotti sono salite a 1,84 miliardi di euro a febbraio, dai 98,5 milioni di euro dell’anno precedente. Cosa ancor più singolare, hanno rappresentato quasi i due terzi di tutte le esportazioni italiane verso la Cina.
Nello specifico, i riflettori sono puntati sulla crescente domanda cinese di UDCA, una sostanza chimica utilizzata principalmente nei farmaci per il fegato che aiuterebbe a prevenire il Covid. Se così fosse, l’improvvisa fine della strategia cinese Zero Covid, e la successiva diffusione a macchia d’olio del virus in tutto il Paese, potrebbero essere i fattori alla base del boom delle esportazioni. Anche se, va detto, la stragrande maggioranza della popolazione cinese sembrerebbe aver contratto il Covid tra dicembre e gennaio.
Il mistero rimane
Rebus risolto? Non proprio. Industria Chimica Emiliana, l’azienda italiana che è il più grande produttore integrato al mondo di UDCA e prodotti a base di acidi biliari, ha un fatturato annuo di circa 300 milioni di euro. E cioè una frazione del balzo delle esportazioni farmaceutiche italiane in Cina.
Come se non bastasse, i dati cinesi più recenti forniscono poche prove che questi prodotti stiano arrivando in massa a Pechino e dintorni. Considerando i tempi di spedizione, i farmaci, di qualunque tipo siano, sarebbero dovuti arrivare in Cina per essere conteggiati nei dati commerciali di aprile. Ebbene, non ci sono stati cambiamenti rilevanti osservabili.
Una spiegazione potrebbe essere lo spostamento del commercio regionale. Peter Ceretti, analista della società di consulenza Eurasia Group, ha fatto notare su Twitter che è probabile che l’impennata dell’export sia da imputare alle grandi aziende con una presenza in Italia, che potrebbero utilizzare prodotti importati da filiali o fornitori altrove in Europa per soddisfare la forte domanda di farmaci dal mercato cinese.