Una certezza, EssilorLuxottica; una grande incognita, Mediobanca; una ferita ancora aperta, Generali. La morte di Leonardo Del Vecchio ha fatto venire meno anche la coerenza tra le tre grandi piste battute negli anni dal re dell’ottica. Ha in sostanza privato di forma la madre di tutte le partite che il magnate nativo di Milano ha combattutto: saldare una posizione dominante in un settore industriale garantita dall’unica vera multinazionale privata a totale trazione italiana con un‘opera di infiltrazione nei salotti più importanti della finanza nazionale (e non solo). Per diventare protagonsita del sistema-Paese su una banda mai accarezzata da nessun grande imprenditore in precedenza.
Del Vecchio alla conquista del sistema-Paese
Enrico Cuccia ha reso Mediobanca “salotto buono” della finanza; Gianni Agnelli ha portato la Fiat a essere pivot industriale di sistema; Silvio Berlusconi è saltato dall’imprenditoria nel settore dei servizi e dei media alla politica nazionale. Nessuno in Italia ha mai tentato l’operazione di Del Vecchio: ibridare, senza sponde politiche di sorta, il più avanzato capitalismo di mercato, rappresentato dalla rampante crescita di Luxottica nel mondo, al più spavaldo capitalismo di relazione all’Italiana.
Tentando, in questo modo, di invertire le lancette della storia che indicavano nella trasformazione di Mediobanca e Generali in attori di mercato. Negando il principio che portava Del Vecchio a identificare con gli uomini che facevano un’azienda, e non con coloro che la controllavano, il suo metro di giudizio per un’attività.
Questo grande dualismo è stato il punto di caduta più importante per l’attività della cassaforte finanziaria di Del Vecchio, Delfin, negli ultimi anni. Il re dell’ottica è arrivato a sfondare quota 19% in Mediobanca e a sfiorare il 10% in Generali. Al momento della scomparsa, tra un incontro con Mark Zuckerberg sugli smart glasses e una presentazione della sua biografia, progettava per il 2023 l’assalto a Piazzetta Cuccia dopo la sonora sconfitta nella partita per il rinnovo del cda del Leone di Trieste.
Il sogno di diventare il nuovo Cuccia
Lo schema della scalata su Mediobanca e Generali ha permesso di scoprire una ventata padronale nel pensiero manageriale di Del Vecchio assente per decenni nella corsa di Luxottica: da imprenditore industriale Del Vecchio ha voluto tentare di trasformarsi nel nuovo Cuccia creando, in seno a Delfin, un polo imprenditoriale, finanziario e assicurativo del Nord-Est capace di unire la proiezione di Luxottica verso i mercati di tutto il mondo, il rapporto privilegiato di Mediobanca con la finanza francese e la proiezione di Generali verso Germania, Austria e Oriente in modo tale da fare di Delfin un polo europeo della finanza. Una Exor 2.0 capace di influenzare politica, media e imprenditoria e di tenere in mano le chiavi informative dello sviluppo del sistema-Paese.
Solo Del Vecchio poteva gestire i rapporti con controversi alleati (Francesco Gaetano Caltagirone) senza correre il rischio di andare a sbattere. Solo Del Vecchio poteva, da un lato, godersi i dividendi di Piazzetta Cuccia e del Leone sparando a zero nel frattempo contro il loro management e immaginando antistoriche riproposizioni del “Salotto Buono” mentre Vanguard, BlackRock e il fondo sovrano norvegese, per fare alcuni nomi, con i loro interventi nel capitale diventavano attori decisivi su scala internazionale per il futuro dei pregiati tesori su cui Delfin puntava. Ma, in fin dei conti, solo Del Vecchio poteva sopportare contraddizioni e sconfitte in questo campo. Ora che il patriarca è scomparso, a Delfin ci si interroga sul futuro di queste partite.
Palla a Milleri per governare l’impero
Quasi a correggere le storture aziendali create dall’ultima battaglia, Del Vecchio è tornato sulla rotta gestionale di Luxottica al momento della scelta degli eredi di un impero che per la sola nave capitane (Luxottica) ha generato 21 miliardi di dollari di fatturato nel 2021 su scala globale. Il successore di Leonardo Del Vecchio alla guida dell’impero di famiglia dovrebbe essere Francesco Milleri, storico braccio destro del magnate scomparso lunedì a 87 anni, e il passaggio di testimone sarebbe quasi blindato dalle modifiche statutarie deliberate lo scorso anno dall’assemblea di Delfin.
Dopo aver, come Crono, divorato le ambizioni del suo primo vero delfino designato, Andrea Guerra, Del Vecchio ha scelto la via del mercato a scapito di quella padronale e autoreferenziale promuovendo un manager d’esperienza che dovrà, in concordato con i sei figli di Del Vecchio, capire cosa fare delle partite esterne all’ottica.
L’eredità: meno fattore umano, più managerialità
Non ci sarà un nuovo Leonardo Del Vecchio e con il patron di Luxottica scompare anche il grande disegno sull’asseMilano-Trieste che ha rappresentato l’ultima, singolare partita di un imprenditore che ha voluto provare l’ebrezza dell’azzardo nella fase finale della vita. La strana alleanza con Caltagirone, che ha studiato la scalata a Mediobanca e Generali, sarà difficilmente rinnovata e se da un lato su Mediobanca c’è da aspettarsi un Delfin capace di seguire la via dei Benetton, ovvero del compromesso con l’ad Alberto Nagel, su Generali la sfida sarà convincere Caltagirone, dimessosi di recente dal cda del Leone, a tornare a patti con Philippe Donnet e i vincitori dell’assemblea del 29 aprile scorso. Milleri dovrà rimettere ordine applicando il metodo Del Vecchio anche laddove lo stesso patriarca lo aveva disatteso: testa bassa, pedalare e soprattutto patrimonializzare ogni operazione di diversificazione. Tenendosi lontano da ambizioni di gigantismo fini a sé stesse e operando per stabilizzare le tensioni in nome della protezione del core business del gruppo.
La morte di Del Vecchio apre le incertezze sulla gestione della quota di Mediobanca (dal valore di circa un miliardo e mezzo di euro) e di quella di Generali (circa 3 miliardi di investimento) che Delfin potrebbe perfino, in ultima istanza, cercare di monetizzare. Ma la scelta più saggia sarebbe quella di giocare a favore dell’inserimento indiretto nelle dinamiche gestionali da parte di Delfin: così, l’obiettivo di influenza di Del Vecchio potrebbe essere, in ultima istanza, realizzato anche se con prassi diverse. Ci sarà molta più azienda e molto meno fattore umano nella nuova Delfin: ma quando a finire sono sessant’anni di storia italiana e d’impresa come quella di Leonardo Del Vecchio è un destino inevitabile.